L’immagine illustra una simulazione numerica tridimensionale relativa al moto del gas magnetizzato che ruota attorno a Sagittarius A* emettendo onde radio in banda millimetrica, generata mediante il programma Raptor, sviluppato presso l’Università di Radboud. Si nota come viene piegata e assorbita la luce dal buco nero. Crediti: T. Bronzwaer, J. Davelaar, M. Moscibrodzka e H. Falcke/Radboud University

Lo scorso anno, dopo più di un decennio di preparazione, astronomi appartenenti a diversi istituti sparsi in America, Europa e Asia, hanno condotto osservazioni epocali con un gigantesco telescopio, virtualmente delle dimensioni della Terra, allo scopo di ottenere la prima immagine del buco nero al centro della Via Lattea, o almeno della sua ombra: stiamo parlando dell’Event Horizon Telescope (Eht). I primi risultati, attesi agli inizi del 2019, permetteranno, si spera, di verificare o meno le predizioni della relatività generale e di avere preziosi indizi sulle regioni più interne dei buchi neri supermassivi, sui processi di accrescimento e formazione dei getti relativistici e sulla dinamica del plasma in ambienti estremi.

Una delle tante sfide di questo particolare esperimento è data dal fatto che i buchi neri non sono veri e propri “oggetti” fisici, così come potremmo pensare: essi sono fatti di gravità. Un buco nero viene di solito definito come una regione dello spazio da cui nulla, nemmeno la luce, può sfuggire. Ma ciò che forse meglio li caratterizza è il suo “confine”, ossia l’orizzonte degli eventi, una sorta di uscita dall’universo ad una sola via. Perciò, se si attraversasse l’orizzonte degli eventi, non si noterebbe nulla, non ci sarebbe alcuna turbolenza. Tuttavia, non si ritornerebbe più indietro. Ed è proprio questo aspetto che rende “invisibili” i buchi neri.

La domanda è: c’è modo di intravedere almeno l’ombra di un buco nero? Verso la fine degli anni Novanta, motivati dalla nascita di una nuova generazione di radiotelescopi, tre astrofisici, Heino Falcke, Fulvio Melia e Eric Agol, decisero di affrontare il problema per capire se fosse possibile vedere la silhouette di Sagittarius A*, il buco nero supermassivo che risiede al centro della Via Lattea.

Dopo una serie di calcoli, gli scienziati ricavarono alcuni modelli che prevedevano come si sarebbe propagata la luce nello spaziotempo fortemente distorto attorno al buco nero e conclusero che – con un insieme di radiotelescopi estremamente distanziati sulla superficie della Terra – osservazioni simultanee di Sagittarius A* nella banda radio, ad alta frequenza, avrebbero permesso di “vedere” un disco scuro almeno dieci volte più grande rispetto alle dimensioni dell’orizzonte degli eventi. I raggi luminosi sarebbero stati intrappolati all’estremità di questo disco, disegnando una serie di anelli luminosi e brillanti, e all’interno di questi il buio più completo. In questo modo, Sagittarius A* avrebbe prodotto la sua ombra visibile dalla Terra.

Ma per realizzare la “foto” di un buco nero, occorre la collaborazione di decine di persone che abbiano la giusta esperienza e siano disposte a trascorrere anni di lavoro estenuante e soggiorni spesso non molto confortevoli presso remote località in cui si trovano gli osservatori. Quella di Eht è stata una sfida teorica e ingegneristica, all’inseguimento di un’immagine che alla fine potrebbe rivelarsi impossibile da ottenere.

Sara Issaoun presso il telescopio Smt

Per saperne di più, Media Inaf ha raggiunto Sara Issaoun, studentessa di dottorato al secondo anno sotto la supervisione di Heino Falcke alla Radboud University di Nijmegen, Olanda, e predoctoral fellow allo Smithsonian Astrophysical Observatory dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics. «Faccio parte del progetto Eht da tre anni e il mio contributo riguarda le osservazioni e il monitoraggio delle operazioni presso il Sub-Millimeter Telescope (Smt, in collaborazione con l’Università dell’Arizona», dice Issaoun. «Inoltre, lavoro al monitoraggio delle prestazioni del telescopio, alla calibrazione ed elaborazione dati. In particolare, la mia tesi di dottorato si basa principalmente sulle osservazioni di Sagittarius A* alla frequenza di 86 GHZ (3 mm), un lavoro complementare a quello che ruota attorno all’esperimento Eht».

«Sagittarius A* è una regione del centro galattico molto attiva e affollata», spiega Issaoun. «Per poter guardare attraverso il gas e le polveri interposte tra noi e il buco nero, dobbiamo utilizzare una frequenza elevata (230 GHz). Anche se Sagittarius A* rappresenta il buco nero che sottende la dimensione angolare più grande, esso risulta ancora molto piccolo. Per scrutarlo, abbiamo bisogno di un potere esplorativo molto elevato, un po’ come vedere una mela sulla superficie della Luna a occhio nudo. Per far questo, gli astronomi devono ricorrere alla tecnica dell’interferometria radio a lunghissima linea di base o Vlbi. In altre parole, si collegano diversi radiotelescopi sparsi sul globo attraverso sistemi di registrazione simultanei che fanno uso di orologi atomici incredibilmente accurati. La distanza più grande tra due antenne definisce il potere esplorativo dell’insieme delle antenne. Nel caso di Eht, questa distanza ha le dimensioni della Terra, il che ci permette di esplorare il centro galattico e possibilmente di risolvere Sagittarius A*».

«Dato che osserviamo ad alta frequenza», continua Issaoun, «ci sono pochissimi siti sulla Terra in cui le condizioni meteo sono ottimali, perciò sfruttiamo la rotazione del pianeta per completare la dimensione virtuale del telescopio e recuperare gran parte dei dati per realizzare l’immagine radio: questo significa osservare per tante ore, combinare diversi giorni di osservazioni e registrare un grosso volume di dati. Ad ogni modo, anche con l’ausilio della rotazione terrestre non siamo in grado di completare il ‘campo visivo’, di conseguenza dobbiamo utilizzare nuove tecniche di elaborazione di immagini astronomiche per compensare la scarsità della nostra copertura osservativa».

Per cinque notti, nel corso di dieci giorni, diversi gruppi di ricercatori dislocati in Francia, Messico, Cile, Arizona, Hawaii e Polo Sud hanno osservato Sagittarius A*, fortunatamente senza particolari problemi meteo o tecnici. Al termine del ciclo inaugurale di osservazioni, conclusosi l’11 aprile 2017, sono stati raccolti più di 65 ore di dati. I dati registrati su dischi rigidi sono stati successivamente spediti da ciascuna delle 8 stazioni all’Osservatorio Haystack e al Max Planck Institute for Radio Astronomy per eseguire la loro correlazione.

Dopo più di un anno di verifiche e controlli di qualità condotti in gran segreto, i ricercatori hanno consegnato i dati finali di Sagittarius A* e M87 a quattro gruppi di astronomi incaricati di elaborare le immagini. Ma c’è un ostacolo da affrontare. Se Eht fosse un singolo strumento delle dimensioni della Terra, creare delle immagini radio sarebbe immediato. Ma dato che Eht consiste di pochi elementi sparsi sul globo in rotazione, qualsiasi insieme di dati potrebbe essere spiegato da un numero infinito di possibili immagini.

Dunque, per essere certi di ottenere risultati consistenti, sono stati introdotti tutta una serie di controlli nel processo di elaborazione dei dati: ecco spiegata la necessità di avere quattro gruppi separati e indipendenti. Inoltre, per evitare qualsiasi effetto di contaminazione, cioè per far sì che nessuno avesse potuto influenzare casualmente un altro gruppo nel vedere qualcosa che non fosse realmente vera, i ricercatori hanno lavorato in isolamento, producendo immagini mediante algoritmi e tecniche differenti, cercando di eliminare qualsiasi cosa che sembrasse troppo nitida, troppo pulita o che potesse assomigliare a ciò che si desiderasse ottenere.

«Al momento, siamo ancora nella fase di analisi dati ed elaborazione delle immagini. Eht è un esperimento osservativo, perciò lavorare sui dati corretti rappresenta la parte più importante del nostro lavoro e quella che richiede più tempo», dice Issaoun. «Il progetto Eht esiste da oltre un decennio, ma solo nell’aprile del 2017 nuovi radiotelescopi sono entrati a far parte dell’esperimento nel primo tentativo di ottenere l’immagine di un buco nero. Ciò ha richiesto molto tempo per poter spedire tutti i dati (specialmente quelli del Polo Sud, rimasto chiuso durante l’inverno), correlarli, verificarli, analizzarli e interpretarli. Ad oggi non abbiamo una data precisa sulla pubblicazione dei risultati. C’è da dire che non esiste altro esperimento analogo che potrebbe riprodurre i nostri risultati in maniera indipendente, perciò dobbiamo essere molto cauti e critici verso noi stessi prima che qualsiasi risultato venga pubblicato. Capiamo quanto sia curioso il pubblico e tutti stiamo lavorando duro per produrre risultati che siano consistenti con le nostre attese. Ma abbiamo bisogno di tempo per fare bene le cose».

Gli scienziati hanno trascorso anni creando modelli matematici e simulazioni numeriche che predicono come dovrebbe apparire Sagittarius A*. Secondo la teoria della relatività generale, ci si aspetta un’ombra circolare in cui si vede orbitare una struttura asimmetrica di materiale supercaldo (blob). Se i risultati di Eht confermeranno queste predizioni, ciò significherà che Einstein aveva compreso la struttura dello spaziotempo già più di un secolo fa. In caso contrario, se non ci sarà alcuna ombra prodotta dal buco nero, le cose diventeranno ancora più interessanti. Qualsiasi deviazione dalla relatività generale potrebbe implicare che le equazioni di Einstein siano solo approssimazioni di qualche legge fisica più profonda.

«Dalle precedenti osservazioni sappiamo che alla frequenza di 230 GHz la sorgente radio Sagittarius A* sottende una regione celeste di circa 50 microsecondi d’arco ed è quasi sempre asimmetrica», fa notare Issaoun. «Questo vuol dire che un lato della sorgente radio appare differente dall’altro. Secondo la nostra interpretazione teorica, l’emissione radio a 230 GHz proviene da plasma caldo che circonda il buco nero, molto prossimo all’orizzonte degli eventi di Sagittarius A*. L’asimmetria è dovuta ad un effetto relativistico (doppler-boosting) del disco di accrescimento: il plasma appare più brillante man mano che si muove lungo la linea di vista dell’osservatore e più debole nel caso opposto. Nonostante Eht abbia un potere esplorativo elevato, non è così semplice risolvere Sagittarius A*. Sappiamo che la sorgente radio varia su tempi scala di alcuni minuti ed è offuscata dalla polvere interstellare del piano galattico. Una sola campagna osservativa potrebbe non bastare, perciò potrebbero essere necessari alcuni anni prima di ottenere un’immagine più chiara e nitida dell’ombra di Sagittarius A*».

«La forma dell’ombra di Sagittarius A* ci permetterà di determinare la rotazione del buco nero e forse di discriminare tra diverse teorie della gravità che predicono geometrie differenti», dice Issaoun. «Avendo a disposizione un’immagine ben definita di Sagittarius A*, potremo essere in grado di affermare se la relatività generale sia corretta o se invece viene meno in prossimità di questi ambienti estremi. Al di là di questo, si spera che i risultati di Eht ci forniscano nuovi indizi sulle regioni più interne dei buchi neri supermassivi, sui processi di accrescimento e formazione dei getti relativistici e sulla dinamica del plasma in ambienti estremi».

Quello che è certo è che entro i prossimi mesi gli astronomi termineranno l’analisi dei dati e l’elaborazione delle immagini. Poi invieranno i loro risultati a un giornale scientifico per la revisione tra pari (peer review). Se tutto andrà a buon fine, i risultati saranno pubblicati e allora il pubblico vedrà finalmente qualcosa. Può darsi, però, che ci si troverà di fronte a due scenari: uno in cui avremo a che fare con un’immagine inconfondibile dell’ombra del buco nero e un altro in cui l’immagine potrebbe essere non chiara, oppure confusa, soggetta a diverse interpretazioni.

Infine, c’è anche l’ipotesi che potremmo rivelare qualcosa di completamente inatteso, del resto nessuno ha mai visto un buco nero. Insomma, neanche un’immagine chiara e definita dell’ombra di Sagittarius A* rappresenterà la fine della storia. Ma anche se nessuno concorderà subito su ciò che potrà dirci la prima foto di un buco nero, essa comunque segnerà l’inizio di una nuova era nella corsa verso la comprensione di ciò che accade in questi luoghi oscuri dove finisce lo spazio e il tempo.