L’addio all’asteroide dalla sala di controllo della missione. Crediti: Jaxa

L’ora dell’addio è arrivata. Qui in Italia erano le 2:05 di ieri, mercoledì 13 novembre, quando la sonda Hayabusa2 ha riacceso i motori di partenza e ha lasciato per sempre l’asteroide Ryugu. Era lì dal 27 giugno 2018. Un anno e mezzo vissuto intensamente: salendo e scendendo più volte a sfiorare la superficie dell’asteroide, compiendo esercitazioni, scodellando strani robot saltellanti e un laboratorio in miniatura, bombardandolo per sondarne il sottosuolo, azzardando vari touchdown, a volte costretta a interromperli ma in ben due occasioni riuscendoci alla perfezione, e raccogliendo materiale che ora verrà trasportato verso la Terra, dove è atteso per il prossimo anno.

Un anno e mezzo durante il quale la sonda della Jaxa ha saputo regalarci emozioni come raramente una missione spaziale è in grado di fare, grazie a un team che si è mostrato in grado di gestire con creatività e sangue freddo qualunque tipo di imprevisto. Al punto che il mission manager della missione, Makoto Yoshikawa, è stato inserito da Nature nella top ten degli scienziati del 2018 proprio per la sua leggendaria abilità nell’affrontare i fuori programma più critici. Un team del quale fa parte anche uno scienziato dell’Istituto nazionale di astrofisica, Ernesto Palomba dell’Inaf Iaps di Roma. Lo abbiamo intervistato.

Cosa significa questa partenza, per voi che ci avete lavorato?

«Oggi finisce un po’ un’era. Un’era breve, anche se a dire il vero abbiamo ancora moltissimi dati da analizzare, ed è ciò che stiamo facendo adesso. Insomma, c’è ancora tanto da fare. Senza contare che siamo in attesa del rientro dei campioni, anche questa una fase critica, benché i passaggi più rischiosi siano ormai alle spalle. E a proposito dei campioni in arrivo, dalle immagini che sono state mostrate sono convinto che sia stato raccolto molto materiale».

Cosa l’ha più emozionata, nel corso di questi mesi?

«Assistere a tutte queste fasi di missione nuove e tecnologicamente molto avanzate. Come, per esempio, aver fatto due sampling sullo stesso corpo planetario. Se posso fare un confronto, io ho fatto parte anche del team di Dawn, e di certo è stato molto emozionante anche andare sia su Vesta che su Cerere. Però sono state due esperienze un po’ diverse. Con Hayabusa2 c’è sempre stata la paura per un possibile fail, perché i passaggi potenzialmente rischiosi erano davvero tanti».

E ora?

«Be’, non è detto che per lo spacecraft la missione sia terminata. Se la Jaxa valuterà che ci può essere ancora propellente a sufficienza, potrebbe decidere d’inviare la sonda verso un nuovo target, un nuovo asteroide, anche se probabilmente solo per un semplice flyby. È una piccola speranza, ma ci aiuta a essere meno tristi».


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