Rappresentazione artistica di venti intensi mentre agitano il disco esterno di materia che circonda un buco nero di massa stellare. La materia del disco (in giallo) viene risucchiata dalle regioni esterne di una stella vicina (in alto a destra). Il buco nero di massa stellare si trova in un disco di circa 5 milioni di km, ma ne divora solo la materia che si avvicina fino a 30 km dal centro. Crediti: Nasa/Swift/A. Simonnet, Sonoma State University

Per essere mostri che in teoria dovrebbero divorare tutto ciò che passa loro accanto, i buchi neri spargono attorno a sé parecchia roba: radiazione, getti relativistici, venti di materia… A ben guardare, non c’è contraddizione in questo: tutto dipende dalla distanza di quell’accanto. Entro un certo raggio (compreso, per buchi neri di massa stellare, fra i 3 e i 150 km), qualunque cosa – luce compresa – è destinata a finire nel buco nero, mentre se ci si trova appena un po’ al di là ci sono buone probabilità di venir scagliati lontano.

In che modo? Il processo all’origine di queste emissioni (outflows, in inglese), prodotte nella regione del disco d’accrescimento, non è affatto chiaro. Ma uno studio uscito oggi su Nature mostra la presenza continua di venti di materia attorno ai buchi neri per l’intera durata dei cosiddetti outbursts (picchi d’emissione particolarmente intensi), e suggerisce che il fenomeno sia dovuto prevalentemente a un meccanismo magnetico, più che termico.

Per giungere a questa conclusione, il team di scienziati che ha firmato lo studio – guidato da Bailey Tetarenko, studentessa di dottorato all’università di Alberta, in Canada – ha analizzato un campione rappresentativo di curve di luce in banda X relative a 21 outbursts provenienti dai buchi neri di 12 sistemi binari X di piccola massa, raccolte nell’arco di 20 anni con i telescopi spaziali Rxte, Swift, Chandra e Xmm-Newton.

Su cosa, esattamente, produca questi venti continuano a rimanere grandi punti interrogativi. «Riteniamo che i campi magnetici svolgano un ruolo chiave», dice uno dei coautori dello studio, Craig Heinke, «ma per arrivare a comprenderli dovremo compiere ancora molte ricerche». Sull’intensità della loro azione, invece, sembrano esserci ormai ben pochi dubbi. «I venti devono spazzare via una porzione notevole della materia che un buco nero potrebbe mangiare: in uno dei nostri modelli», chiosa infatti Tetarenko, «i venti hanno rimosso l’80 per cento del potenziale pasto del buco nero».

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