Rappresentazione artistica della fusione di due buchi neri. Crediti: Nasa/Cxc/A.Hobart

I buchi neri di massa stellare nascono da stelle massicce che, esaurito il carburante che le tiene accese e integre, collassano ed esplodono in supernova. Tuttavia, questo parto pirotecnico smette di funzionare bene per stelle troppo massiccie, per le quali l’esplosione di supernova risulta instabile. Questo implica che buchi neri di massa maggiore a 50 masse solari devono formarsi attraverso altri meccanismi, come la fusione tra due buchi neri.

Un nuovo studio, pubblicato su Physical Review D Rapid Communications, si chiede quale sia l’ambiente cosmico favorevole affinché buchi neri si incontrino e diano origine anche a generazioni successive di loro simili, sempre più massicci.

Davide Gerosa dell’Institute for Gravitational Wave Astronomy allUniversità di Birmingham, nel Regno Unito, che ha condotto lo studio assieme a Emanuele Berti della Johns Hopkins University (Usa), ha delineato le caratteristiche di un simile “vivaio” per buchi neri di grossa taglia, informazione importante per interpretare il segnale di onde gravitazionali emesse al momento della fusione dei buchi neri.

Classe 1988, cresciuto a Monza e laureato in astrofisica a Milano, Davide Gerosa – che si definisce astrofisico relativistico – ha conseguito il dottorato all’Università di Cambridge, Uk. Dopo alcuni anni al California Institute of Technology, Usa, (dove ha prodotto, fra l’altro, alcuni fra i più accurati modelli della fusione di due buchi neri) Gerosa è ora ricercatore all’Università di Birmingham, dove cerca di mantenere viva anche la sua passione per la montagna. Media Inaf lo ha intervistato.

Davide Gerosa

Qual è il punto di partenza del vostro studio?

«Dalla teoria standard per il collasso di supernova sappiamo che, a causa delle instabilità nell’esplosione, per quanto sia grande la stella originaria non si formerà mai un buco nero superiore a 50 masse stellari. Questa è una predizione molto chiara, tanto è vero che se osservassimo un buco nero di 50 masse solari ci vorrebbe un altro modo rispetto alla teoria standard per spiegare come si è formato».

Quindi non è mai stato osservato qualcosa del genere tramite le onde gravitazionali generate dalla fusione di buchi neri?

«Dal punto di vista delle onde gravitazionali, bisogna tenere conto che osservatori come Ligo e Virgo sono più sensibili ad oggetti di alta massa, per cui è più facile osservare buchi neri “grandi”. Ligo non ha visto buchi neri superiori a 50 masse solari e tutte le osservazioni finora sono compatibili con questo limite. Il nostro studio si spinge, in modo un po’ speculativo, a chiedersi cosa impareremmo se invece ne vedessimo uno, che scienza potremmo tirare fuori».

Come potrebbero formarsi?

«Un meccanismo ben studiato per spiegare la formazione di buchi neri superiori a 50 masse solari, proposto sempre da me ed Emanuele Berti nel 2017, è che prendano origine non da stelle ma da altri buchi neri che si fondono. Questi cosiddetti merger risultanti possono incontrarsi con altri buchi neri e fondersi in componenti molto massivi. Diverse simulazioni hanno mostrato che per assemblare due generazioni di merger serve un ambiente particolare, denso di stelle, come potrebbe essere un ammasso globulare. Qui ci possono essere molte interazioni dinamiche: tante stelle collassano, formano buchi neri che possono incontrare altri buchi neri e fondersi, e poi incontrare un altro buco nero per dare origine a un ulteriore merger, e così via».

Dovremmo quindi aspettarci un sacco di interazioni?

«C’è una condizione, relativamente semplice, perché questo accada: per formare la seconda generazione di buchi neri, la prima generazione deve essere mantenuta dentro all’ammasso di stelle, perché se viene espulsa non è più lì per fare merger di nuovo. Ora, il problema è che i merger, al momento della loro formazione, subiscono un contraccolpo, dovuto all’energia rilasciata dal processo di fusione sotto forma di onde gravitazionali, simile al rinculo di una pistola quando viene sparato un proiettile. In questo caso il proiettile è rappresentato dalle onde gravitazionali e la pistola è il buco nero finale».

Quanto è forte questo colpo?

«Il conto che abbiamo fatto è che i rinculi tipici per merger di seconda generazione sono maggiori di circa 50 km/s. Questo significa che l’ambiente astrofisico adatto a supportare una seconda generazione di merger deve avere una velocità di fuga maggiore di 50 km/s, altrimenti il buco nero di prima generazione viene calciato via. In scala astrofisica, 50 km/s è una velocità di fuga superiore a quella degli ammassi globulari, che è dell’ordine dei 10 km/s. Quindi, se voglio formare un buco nero di seconda generazione, con una massa superiore a 50 masse solari, ho bisogno di un sistema stellare con una velocità di fuga superiore a 50 km/s».

Esistono sistemi stellari con queste caratteristiche?

«Non ce ne sono molti in giro: stiamo parlando di nuclear star cluster, cioè di ammassi stellari intorno a buchi neri supermassicci all’interno di galassie; oppure coppie binarie di buchi neri che stanno dentro al disco di accrescimento di un Agn, un nucleo galattico attivo. Il punto del nostro studio è che un sistema stellare “normale”, come un ammasso globulare, non è abbastanza per spiegare un’osservazione di un buco nero nel mass gap, ovvero sopra le 50 masse solari».

Questo come influenza le osservazioni?

«Se Ligo vede qualcosa nel mass gap, questo ci dice che per formare quell’evento lì ho bisogno di qualcosa di esotico. Non troppo esotico, ma almeno qualcosa che non sono gli scenari di formazione normali, ovvero collasso di stelle e incontro di buchi neri in un ammasso globulare. Il che significa anche che questi eventi, se ci sono, sono molto speciali, perché possiamo dire con relativa certezza da dove sta venendo».

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