Così erano le stelle dalle quali discendiamo

Un team di astrofisici guidato da Sergio Cristallo dell’Inaf d’Abruzzo è riuscito – combinando tre tipi diversi di modelli teorici – a determinare la distribuzione in massa e il contenuto di metalli (la cosiddetta “metallicità”) delle stelle che hanno “inquinato” il materiale del Sistema solare al momento della sua formazione

Immagine al microscopio elettronico a scansione del grano di carburo di silicio di 6.2 miliardi di anni dal meteorite di Murchison. Crediti: Heck et al. Pnas, 2020

Le stelle sono reattori nucleari incredibilmente efficienti, in cui si forma la stragrande maggioranza degli elementi chimici nell’universo. Alcuni di questi elementi, in particolare quelli più pesanti del ferro non possono essere prodotti tramite una “semplice” fusione tra particelle cariche, ma necessitano la presenza di neutroni liberi. Questi ultimi non risentono dell’interazione elettromagnetica e sono quindi più facilmente catturati per creare elementi sempre più pesanti. Nelle stelle, ciò avviene attraverso due processi di cattura neutronica: il processo rapid (processo r) e il processo slow (processo s). Quest’ultimo caratterizza la fase di Ramo asintotico delle giganti (Ramo asintotico delle giganti, da AGB, Asymptotic Giant Branch) di stelle di piccola massa. Gli strati più esterni di queste stelle sono talmente freddi che il gas può solidificare, formando inizialmente molecole semplici e poi sempre più complesse, per arrivare alla produzione di veri e propri granelli di polvere. Questi “grani” vengono espulsi nel mezzo interstellare e sono successivamente “riciclati” all’interno delle nubi proto-stellari, da cui si formeranno nuove stelle.

Ciò è avvenuto anche quando si è formato il nostro Sole: alcuni granelli di polvere, provenienti da stelle evolute parecchi milioni di anni prima, sono stati catturati dai corpi minori del sistema solare in formazione (come asteroidi e comete). Nel corso dei successivi miliardi di anni, questa “polvere di stelle” si è preservata all’interno dei meteoriti, alcuni dei quali sono poi caduti sulla Terra. Tramite tecniche chimiche e di ablazione laser, il materiale solare che costituisce il meteorite può essere rimosso sino ad isolare i singoli grani di materiale extra-solare. Uno dei tipi di polvere stellare più comune è il carburo di silicio (SiC), un materiale che ha svariate applicazioni industriali.

Schema del “viaggio” degli atomi di alcuni elementi pesanti, a partire dalla loro formazione nella stella di riferimento, per arrivare alle misure di laboratorio. Crediti: S. Cristallo e D. Vescovi

«Il carburo di silicio è una molecola semplice formata da un atomo di carbonio ed un atomo di silicio, che può assumere varie forme cristalline», spiega a Media Inaf  Sergio Cristallo dell’Inaf d’Abruzzo, primo autore di uno studio sui grani presolari, pubblicato la settimana scorsa su Astronomy & Astrophysics, che ha messo un po’ di ordine tra le varie teorie presentate sino a oggi. «Come materiale ha svariati utilizzi nell’industria. In particolare viene sfruttato per la sua durezza nei processi di lavorazione abrasiva e per la la fabbricazione di semiconduttori in dispositivi che lavorano ad alta potenza, alta frequenza e alte temperature. Addirittura può essere utilizzato per costruire gli specchi dei telescopi. In astronomia, e in particolare tra la comunità degli astrofisici nucleari, è molto importante perché all’interno della sua struttura cristallina si celano gli elementi pesanti formatisi in stelle evolute prime della formazione del nostro Sole. I grani presolari di SiC sono come “cassette di sicurezza”, rimaste dormienti per miliardi di anni, che aspettano solo di essere aperte per avere informazioni importantissime sull’universo passato».

Come già illustrato in un articolo pubblicato su Media Inaf, i grani presolari portano dunque con sé i tratti distintivi della nucleosintesi e dei fenomeni di mescolamento avvenuti nella stella “progenitrice”. Una delle maggiori criticità in questo tipo di studi è la difficoltà nell’identificazione delle caratteristiche fisiche e chimiche delle stelle che hanno prodotto i grani studiati in laboratorio. Ed è ciò che sono riusciti a fare Cristallo e gli altri autori dell’articolo: determinare la distribuzione in massa e il contenuto di metalli (la cosiddetta “metallicità”) delle stelle che hanno “inquinato” il materiale del Sistema solare al momento della sua formazione. La novità del lavoro consiste nell’aver combinato tre tipi diversi di modelli teorici, che operano in contesti astrofisici assai differenti: un modello di evoluzione stellare, un modello di formazione delle polveri e un modello chemo-dinamico di evoluzione chimica della galassia. In particolare, quest’ultimo è in grado di simulare gli spostamenti delle stelle all’interno della galassia (detta “migrazione stellare”), facendo sì che stelle più ricche di metalli si spostino verso la periferia della Via Lattea, dove si trova anche il Sole.

La combinazione di massa e metallicità che statisticamente meglio rappresenta le stelle progenitrici dei granuli pre-solari di carburo di silicio è quella di stelle Agb con massa circa doppia rispetto alla massa del Sole e metallicità pari a quella solare. Inoltre, i modelli teorici sviluppati per lo studio sono anche in grado di riprodurre la distribuzione delle grandezze dei grani di carburo di silicio, che spaziano dalle centinaia di nanometri a qualche micron.

Per saperne di più:

Leggi l’articolo originale su MEDIA INAF.

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