La sonda di ExoMars Trace Gas Orbiter e il lander Schiaparelli durante alcuni test. Crediti: ESA–S. Corvaja, 2015

In piccola quantità, ma i batteri sopravvivono anche alle minuziose e lunghe fasi di decontaminazione a cui vengono sottoposti sonde, rover e lander che poi volano nello spazio. Lo standard di pulizia è di solito elevatissimo per evitare ogni rischio, ma nonostante l’utilizzo delle cosiddette clean room (cioè camere bianche o camere pulite) e di tecniche avanzatissime alcuni batteri sopravvivono. Come? Un gruppo di ricercatori della Cal Poly Pomona ha tentato di spiegare perché la contaminazione è ancora un problema, e ha pubblicato i risultati in un articolo sulla rivista Astrobiology dal titolo “Metabolism and Biodegradation of Spacecraft Cleaning Reagents by Strains of Spacecraft-Associated Acinetobacter”.

La Nasa e le altre agenzie spaziali sono particolarmente attente a questi processi, e di anno in anno le misure per portare al minimo la contaminazione biologica si fanno sempre più scrupolose: dagli intensi trattamenti di sterilizzazione a 120° C (protratti per molti giorni) per ogni singolo elemento, sia meccanico o che elettronico, all’obbligo – per i tecnici – di indossare abiti sterili, passando per agenti pulenti i cui nomi sono degli scioglilingua. Ma questo e molto altro, a quanto pare, non basta per la rimozione di contaminanti biologici,  che potrebbero falsare i risultati per gli scienziati in cerca di vita su altri pianeti, primo fra tutti Marte.

Alcuni dei microbi, come risulta dal recente studio, nascono e proliferano proprio all’interno delle camere pulite: parliamo di batteri, funghi e archeobatteri. Nello specifico, i ricercatori guidati da Rakesh Mogul si sono concentrati sugli Acinetobacter, un genere di batteri che la fa da padrone sulle sonde spaziali. Gli scienziati hanno analizzato diversi ceppi di Acinetobacter originariamente isolati dalle strutture dove sono stati assemblati Mars Odyssey e Phoenix, scoprendo che in condizioni di estrema pulizia la maggior parte dei ceppi testati cresceva e biodegradava i detergenti usati durante l’assemblaggio dei veicoli spaziali. Lo studio ha mostrato che le colture proliferavano sull’alcol etilico come unica fonte di carbonio. I ceppi testati erano anche in grado di biodegradare l’alcol isopropilico e il Kleenol 30, altri due agenti pulenti comunemente usati nelle camere pulite, sfruttandoli come fonti di energia.

Il lavoro di Mogul e del suo team servirà a tutta la comunità scientifica e ai tecnici che si occupano di protezione planetaria come «studio di riferimento sulle cause che portano questi microbi a rimanere all’interno delle camere pulite», spiega lo scienziato. «C’è sempre roba che entra nelle camere pulite, ma la domanda aperta è perché i batteri riescano a restarci, e perché esistano specifici microrganismi la cui presenza è comune nelle camere pulite».

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