“Ehi ho, ehi ho”, piccoli minatori su Marte

Arrivano i risultati dei primi esperimenti minerari che potrebbero aprire la strada a nuove tecnologie in grado di aiutare gli esseri umani a esplorare lo spazio profondo e stabilire insediamenti su mondi lontani. Il progetto si chiama BioRock ed è stato condotto dagli astronauti a bordo della Stazione spaziale internazionale, fra i quali Luca Parmitano

L’astronauta Luca Parmitano mentre colloca i bioreattori in una centrifuga a bordo della Iss. Crediti: Esa

“Ehi ho, ehi ho, nello spazio andiamo a lavorar!”, avranno cantato i microrganismi in viaggio sul razzo SpaceX (lanciato da Cape Canaveral in Florida nel luglio 2019) arrivando a bordo della Stazione spaziale internazionale (Iss), in orbita attorno alla Terra a un’altitudine di circa 400 km. Erano ospitati all’interno di diciotto “bioreattori minerari”, delle dimensioni di una scatola di fiammiferi, sviluppati in circa dieci anni dagli scienziati del Centre for Astrobiology del Regno Unito presso l’Università di Edimburgo. All’interno di ciacuna di queste “miniere in miniatura” c’erano piccoli pezzi di basalto – una roccia comune sulla Luna e su Marte – immersi in una soluzione batterica. L’esperimento, durato tre settimane, è stato condotto in condizioni di gravità simili agli ambienti di Marte e della Luna. I test eseguiti dagli astronauti sulla Iss mostrano come i batteri possano riuscire, in condizioni di microgravità, a estrarre materiali utili – metalli e minerali come ferro e magnesio, essenziali per la sopravvivenza nello spazio – dalle rocce presenti su Marte e sulla Luna.

I risultati prodotti dal team suggeriscono che i batteri potrebbero migliorare fino a circa il 400 per cento l’estrazione di terre rare – ampiamente utilizzate nelle tecnologie attuali, inclusi telefoni cellulari, computer e magneti – dal basalto dei paesaggi lunari e marziani, e sostengono l’idea che i batteri potrebbero un giorno essere usati come “piccoli minatori spaziali” per frantumare le rocce di un terreno da adibire a coltivazione o per estrarre minerali utili a rifornire sistemi di supporto vitale come quelli per la produzione di aria e acqua.

Opera d’arte naturale fluorescente che cattura la bellezza dei biofilm, la crescita di microbi sulle rocce. In questa immagine microscopica, lo Sphingomonas desiccabilis, uno dei tre batteri scelti per l’esperimento BioRock sulla Iss, cresce sul basalto. Crediti: Esa

Questi microrganismi si “nutrono” di rocce estraendo ioni in un processo naturale – chiamato, appunto, biomining. Sulla Terra il ricorso al biomining è piuttosto comune: viene utilizzato per estrarre in modo economico elementi come il rame e l’oro dalle rocce. Ora i ricercatori vogliono capire anche in che modo la microgravità influenzi l’interazione fra batteri e materiale roccioso in ambienti come la Luna, Marte e sugli asteroidi. Ma sono anche interessati agli effetti della gravità sulla crescita delle colonie di microbi qui sulla Terra.

«I nostri esperimenti supportano la fattibilità scientifica e tecnica dell’estrazione degli elementi biologicamente migliorata in tutto il Sistema solare», spiega Charles Cockell, della School of Physics and Astronomy dell’Università di Edimburgo, a capo del progetto. «Anche se non è economicamente fattibile estrarre questi elementi nello spazio per poi portarli sulla Terra, il biomining spaziale potrebbe potenzialmente favorire una presenza umana autosufficiente nello spazio. Ad esempio, i nostri risultati suggeriscono che la costruzione di miniere robotiche gestite dall’uomo nella regione Oceanus Procellarum della Luna, che ospita rocce con concentrazioni arricchite di terre rare, potrebbe essere una direzione fruttuosa per lo sviluppo scientifico ed economico con presenza umana oltre la Terra»

«I microrganismi sono molto versatili, e mentre ci spostiamo nello spazio possono essere utilizzati per realizzare una varietà di processi», dice Rosa Santomartino, ricercatrice presso la Scuola di fisica e astronomia dell’Università di Edimburgo. «L’estrazione degli elementi è potenzialmente uno di questi.»

«È meraviglioso vedere pubblicati i risultati scientifici di BioRock», dice Libby Jackson, responsabile dello Human Exploration Programme presso l’Agenzia spaziale britannica, «I risultati di esperimenti come BioRock non solo aiuteranno a sviluppare una tecnologia che consentirà agli esseri umani di esplorare ulteriormente il Sistema solare, ma aiuterà anche gli scienziati di una vasta gamma di discipline ad acquisire conoscenze che possono portare beneficio a tutti noi sulla Terra».

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature Communications l’articolo Space station biomining experiment demonstrates rare earth element extraction in microgravity and Mars gravity, di Charles S. Cockell, Rosa Santomartino, Kai Finster, Annemiek C. Waajen, Lorna J. Eades, Ralf Moeller, Petra Rettberg, Felix M. Fuchs, Rob Van Houdt, Natalie Leys, Ilse Coninx, Jason Hatton, Luca Parmitano, Jutta Krause, Andrea Koehler, Nicol Caplin, Lobke Zuijderduijn, Alessandro Mariani, Stefano S. Pellari, Fabrizio Carubia, Giacomo Luciani, Michele Balsamo, Valfredo Zolesi, Natasha Nicholson, Claire-Marie Loudon, Jeannine Doswald-Winkler, Magdalena Herová, Bernd Rattenbacher, Jennifer Wadsworth, R. Craig Everroad e René Demets

Leggi l’articolo originale su MEDIA INAF.

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