Se ne è andato all’età di 76 anni uno dei cosmologi più celebri degli ultimi decenni per le sue teorie sui buchi neri e l’origine dell’universo. La passione per la ricerca più forte della malattia
Grazie a lui i buchi neri hanno smesso di essere un’ipotesi fantasiosa e i viaggi nello spazio interstellare sono diventati una sfida concreta: Stephen Hawking è stato uno dei cosmologi più celebri degli ultimi decenni e uno dei ricercatori che più hanno fatto discutere per le affermazioni al confine tra cosmologia e religione, come quella secondo cui si può spiegare la nascita dell’universo senza l’intervento di Dio. Un’altra delle sue convinzioni più ferme vedeva nella colonizzazione dello spazio la speranza di sopravvivenza dell’umanità. E per lo spazio, come per la conoscenza scientifica, Hawking aveva una grandissima passione, più forte della malattia che lo ha tormentato per decenni.
Nato a Oxford l’8 gennaio 1942 (esattamente 300 anni dopo la morte di Galileo Galilei, come ha sempre tenuto a precisare) Hawking ha sempre descritto se stesso come un bambino disordinato e svogliato, tanto che ha imparato a leggere solo all’età di 8 anni. Le cose hanno preso una piega diversa quando gli à stata diagnosticata la malattia. In quel momento “ogni cosa è cambiata: quando hai di fronte l’eventualità di una morte precoce, realizzi tutte le cose che vorresti fare e che la vita deve essere vissuta a pieno”, diceva.
L’universo aveva da sempre esercitato su di lui un enorme fascino e nel 1963 questa passione lo aveva portato all’università di Cambridge. Gli anni tra il 1965 e il 1975 sono stati scientificamente tra i più produttivi della sua vita: è allora che ha scritto il suo libro più famoso: Dal Big Bang ai buchi neri, breve storia del tempo. Sempre a Cambridge, dal 1976 al 30 settembre 2009 ha occupato la cattedra che era stata di Isaac Newton. Le sue ricerche sui buchi neri hanno permesso di confermare la teoria del Big Bang, l’esplosione dalla quale è nato l’universo. Dagli anni ’70 ha cominciato a lavorare sulla possibilità di integrare le due grandi teorie della fisica contemporanea: la teoria della relatività di Einstein e la meccanica quantistica. Le sognava riunite nella “teoria del tutto”, che nel 2014 ha ispirato il film di James Marsh dedicato a Hawking.
Una delle teorie più recenti che il fisico e cosmologo britannico aveva formulato con il fisico Thomas Hertog, del Cern di Ginevra, prevede che l’universo non abbia avuto un inizio e una storia unici, ma una moltitudine di inizi e di storie diversi. La maggior parte di questi mondi alternativi sarebbe però scomparsa molto precocemente dopo il Big Bang, lasciando spazio all’universo che conosciamo.
Hawking non ha mai sopportato alcun limite, ed è così che nel 2007 è riuscito a provare la sensazione dell’assenza di gravità grazie al volo offerto dal proprietario della Virgin Galactic, Richard Branson. È stata una delle tante sfide alla forma di atrofia muscolare progressiva che lo ha tormentato dall’adolescenza e che progressivamente lo ha costretto alla paralisi. Una sedia a rotelle progettata su misura e un computer con sintetizzatore vocale sono i mezzi che gli hanno permesso di comunicare con il mondo. Ha sfidato la malattia anche nella sua vita privata, con due matrimoni, altrettanti divorzi, tre figli e un nipote. Sua figlia Lucy, con la quale Hawking ha scritto libri divulgativi per ragazzi, ha sempre riconosciuto che il primo a insegnarle a parlare di scienza con un linguaggio “sempre più semplice” è stato suo padre. Oltre al suo grandissimo contributo scientifico, a ricordarlo si sono l’asteroide che porta il suo nome, 7672 Hawking, e il sostegno alla progetto Breakthrough Starshot, che prevede l’invio di una flotta di vele solari per cercare forme di vita verso la stella più vicina, Alpha Centauri.