Perché alcune regioni in corrispondenza dei crateri di recente formazione su Cerere presentano un’anomala colorazione bluastra? Una possibile risposta a questa domanda che tempo arrovella i planetologi la fornisce lo studio pubblicato su Nature Communications e realizzato da un team che vede la partecipazione di ricercatrici e ricercatori dell’Inaf
Tra le tante, sorprendenti scoperte della missione Dawn della Nasa, dedicata allo studio degli asteroidi, una in particolare ha catalizzato l’attenzione e il dibattito dei planetologi. Le osservazioni e l’analisi della composizione superficiale di Cerere hanno rivelato che alcune regioni in corrispondenza dei suoi crateri di formazione più recente presentano una anomala colorazione bluastra. Ora però gli esperimenti di laboratorio realizzati da un team di ricerca guidato da Stefan Schröder dell’Istituto di ricerca planetaria del Dlr, in Germania, e del quale fanno parte Simone De Angelis, Marco Ferrari e Maria Cristina De Sanctis dell’Istituto nazionale di astrofisica, forniscono nel loro articolo pubblicato oggi sulla rivista Nature Communications una convincente spiegazione del fenomeno: gli impatti di altri corpi celesti sulla superficie di Cerere nel suo recente passato hanno portato in superficie materiale misto a ghiaccio presente nel sottosuolo. In seguito, il ghiaccio d’acqua accumulato nella struttura cristallina dei minerali argillosi emersi è sublimato, lasciando sulla superficie uno strato di polvere molto porosa che, colpita dalla luce solare la riflette in modo particolare, donandole una inusuale colorazione bluastra.
Ma come hanno fatto i ricercatori a ottenere questi risultati? «In questo lavoro sperimentale abbiamo cercato di riprodurre in laboratorio il meccanismo, osservato dalla missione Dawn, per cui nei materiali emessi da crateri giovani vi sono variazioni di colori nello spettro visibile. Queste variazioni sono dovute alla sublimazione del ghiaccio mescolato con fillosilicati: in seguito agli impatti con meteoriti e alla sublimazione, in superficie rimane un materiale residuo a forma di “schiuma” molto porosa e composta da particelle inferiori al micron, responsabili della diffusione della luce e delle variazioni di colore», racconta a Media Inaf De Angelis.
«Per realizzare questo esperimento, abbiamo preparato, nei laboratori dell’Inaf Iaps, a Roma, una miscela di minerali che mostra proprietà spettrali analoghe a quelle della superficie di Cerere. Questa miscela è stata utilizzata per condurre esperimenti di sublimazione del ghiaccio d’acqua in condizioni ambientali simili a quelle di Cerere», aggiunge Ferrari. «Il ghiaccio, sublimando, modifica la struttura superficiale della miscela rendendola porosa e cambiandone alcune proprietà spettrali. I risultati ottenuti ci forniscono il meccanismo di formazione del colore blu che osserviamo nei crateri giovani di Cerere, mettendo in luce alcuni dei processi che sono avvenuti sulla sua superficie in tempi relativamente recenti».
In pratica, i ricercatori hanno realizzato una miscela di smectite, un materiale argilloso le cui proprietà chimiche, mineralogiche, nonché il colore e la riflettività sono molto simili a quelle del materiale presente sulla superficie di Cerere. Nell’esperimento, il campione è stato posto sotto vuoto spinto e alla tempera tura di -100 gradi Celsius per 133 ore nel laboratorio dell’Istituto di planetologia e astrofisica dell’Università di Grenoble, per simulare l’ambiente su Cerere. Come previsto, il ghiaccio d’acqua è sublimato, passando cioè direttamente dallo stato solido allo stato gassoso e liberandosi quindi dal campione. La struttura microscopica dei minerali è stata invece preservata, lasciando un substrato ricco di pori. A causa delle piccolissime cavità formatesi nel processo, il campione, come una schiuma, ha aumentato considerevolmente il suo volume. E nel processo, anche le proprietà della luce da esso riflessa sono cambiate, mostrando una preponderanza della componente di colore blu.
«Ciò che abbiamo osservato è paragonabile al fenomeno che fa apparire il cielo il cielo blu sul nostro pianeta», spiega Schröder. «La luce solare è dispersa dalle minuscole molecole dell’atmosfera terrestre in misura maggiore o minore a seconda della lunghezza d’onda. Le componenti ad alta frequenza della luce, quelle che corrispondono al colore blu, sono disperse più efficacemente delle componenti a bassa frequenza, associate ai colori verde e rosso. Di conseguenza, il cielo ci appare blu. In modo molto simile, questo effetto, chiamato anche diffusione di Rayleigh, avviene nelle cavità dei fillosilicati su Cerere che hanno perso per sublimazione la loro componente di acqua».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Communications l’articolo “Dwarf planet (1) Ceres surface bluing due to high porosity resulting from sublimation”, di Stefan E. Schröder, Olivier Poch, Marco Ferrari, Simone De Angelis, Robin Sultana, Sandra M. Potin, Pierre Beck, Maria Cristina De Sanctis e Bernard Schmitt
Leggi l’articolo originale su MEDIA INAF.