La kilonova di maggio fu il vagito di una magnetar

Un articolo in uscita oggi su ApJ riporta le osservazioni della kilonova più luminosa di sempre. L’analisi dei dati nell’infrarosso indica che potrebbe trattarsi dell’esplosione associata alla formazione di una magnetar, sfidando le teorie correnti su ciò che accade negli istanti successivi all’emissione di un lampo di raggi gamma corto prodotto dalla coalescenza di due stelle di neutroni

Illustrazione artistica di un lampo di raggi gamma corto come Grb 200522A, il risultato di ciò che gli scienziati hanno confermato essere la kilonova più luminosa mai osservata. Crediti: Nasa, Esa e D. Player (Stsci)

Prima si avvicinano. A un certo punto iniziano a ruotare una intorno all’altra in una sorta di balletto cosmico. Infine si fondono formando un nuovo oggetto celeste: è quello che può accadere a due stelle di neutroni – relitti stellari estremamente densi – che orbitano vicine. Quando ciò si verifica, la fusione delle due stelle massicce comporta che il sistema esploda sotto forma di kilonova – un gioco d’artificio mille volte più luminoso di una nova (l’evento legato all’esplosione di una nana bianca) – emettendo radiazione gravitazionale e radiazione elettromagnetica a tutte le frequenze – dal radio al gamma, passando per l’ottico – che i telescopi da terra e dallo spazio possono rilevare.

Il 22 maggio scorso gli scienziati hanno rilevato un intenso ed energetico lampo di luce gamma (gamma ray burst, in inglese) prodotto proprio dalla fusione di due stelle di neutroni, che ha viaggiato per 5.47 miliardi di anni prima raggiungerci. Utilizzando diversi telescopi da terra e dallo spazio, sono state rilevate, dal radio all’X, le emissioni residue che si sono verificate dopo il breve flash, chiamato Grb 200522A, il che ha portato due scoperte.
La prima è che l’esplosione di kilonova avvenuta a seguito della fusione delle due stelle di neutroni è da record: è infatti la più luminosa mai registrata.
La seconda è che l’oggetto celeste prodotto dalla coalescenza non è un buco nero – l’unico oggetto che si credeva potesse formarsi da una simile fusione – ma molto probabilmente una magnetar (dalla contrazione magnetic-star): una stella di neutroni estremamente magnetizzata. Risultati, questi, riportati in un articolo pubblicato oggi su The Astrophysical Journal.

Tutto è cominciato con la rilevazione del lampo gamma da parte del Burst Alert Telescope (Bat) a bordo del Neil Gehrels Swift Observatory della Nasa. All’alert sono presto seguite le osservazioni di follow-up dell’afterglow (le emissioni di raggi X e ottiche che seguono per qualche ora il lampo gamma) della kilonova e della galassia ospite con altri telescopi, tra i quali il telescopio spaziale Hubble, il Very Large Array (Vla), il Global Telescope dell’Osservatorio di Las Cumbres (Lcogt) e i telescopi Keck I e II dell’Osservatorio WM Keck.

Proprio le osservazioni nell’infrarosso della kilonova da parte di Hubble hanno fatto drizzare le orecchie agli scienziati: l’emissione registrata dal telescopio era infatti molto più luminosa del previsto: circa 12 volte più luminosa della kilonova associata all’evento di onde gravitazionali Gw 170817 e, più in generale, significativamente più luminosa di qualsiasi kilonova mai osservata.

Gli scienziati sospettano da tempo che i lampi di raggi gamma “corti” – esplosioni che durano meno di due secondi – siano prodotti dalla coalescenza di stelle di neutroni. Da un simile abbraccio non si aspettavano però di osservare una kilonova così luminosa come quella in questione, cosa che può significare che il prodotto della fusione sia, appunto, una magnetar.

Il 22 maggio del 2020, gli scienziati hanno osservato quella che potrebbe essere la formazione di una magnetar (box 3 e 4), una stella di neutroni massiccia e altamente magnetizzata. Gli scienziati ritengono che due stelle di neutroni si siano scontrate (box 1), provocando un’esplosione colossale – la kilonova (box 2) – lasciando la magnetar come residuo. Crediti Nasa, Esa e D. Player (Stsci)

«Hubble è in grado di captare l’emissione infrarossa che risulta dalla creazione di elementi pesanti – come oro, platino e uranio – durante una collisione di stelle di neutroni», sottolinea Edo Berger, astronomo dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e responsabile scientifico del programma Hubble.

«Queste osservazioni non si adattano alle spiegazioni tradizionali per i lampi di raggi gamma corti», spiega Wen-fai Fong, astronoma della Northwestern University di Evanston, Illinois, e prima autrice dello studio. «Quello che sappiamo circa l’emissione nel radio e nell’X di queste esplosioni, semplicemente non corrisponde alle osservazioni. L’emissione infrarossa che Hubble ha rilevato è troppo luminosa. Una tessera del puzzle che ricostruisce il lampo di raggi gamma che non si adatta correttamente».

Il team ha preso in esame diverse possibilità per spiegare l’insolito livello di luminosità osservato con Hubble. Secondo Berger, il pezzo del puzzle che non si adatta potrebbe nascondere la risposta a una grande domanda. «Cosa rimane di una tale collisione: una stella di neutroni più massiccia? Un buco nero? Il fatto che vediamo questa emissione infrarossa, e che sia così brillante mostra che i lampi di raggi gamma corti si formano effettivamente dalle collisioni di stelle di neutroni, ma sorprendentemente il prodotto della collisione potrebbe non essere un buco nero, ma probabilmente una magnetar».

«La spettacolare risoluzione di Hubble», conclude Fong, «è stata anche la chiave non solo per quantificare la luce proveniente dalla fusione ma anche per individuare la galassia ospite dell’esplosione».

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