Studiando un campione di galassie lontane, la cui luce ci arriva da un’epoca in cui l’universo aveva soltanto tre miliardi di anni, un team di ricercatori guidato da Giustina Vietri dell’Istituto nazionale di astrofisica ha seguito i venti che imperversano nelle galassie “attive” fino a pochi anni luce dai buchi neri supermassicci che popolano i centri galattici. Il nuovo studio dimostra come questi venti, che viaggiano a velocità di milioni di chilometri orari, possano influenzare il gas interstellare su scale di decine di migliaia di anni luce
La maggior parte dei buchi neri supermassicci che si annidano nelle galassie, come quello che si trova al centro della nostra Via Lattea, sono completamente innocui e al massimo inghiottono qualche stella o nube di gas che osi avvicinarsi troppo. Una piccola percentuale, però, è in gran fermento, divorando la materia circostante a ritmi cospicui attraverso un disco di accrescimento che si riscalda e dà luogo a intense emissioni su tutto lo spettro di frequenze. Sono questi segnali che permettono di riconoscere, nelle osservazioni del cielo, le galassie “attive”, ovvero quelle che ospitano buchi neri in fase di subbuglio.
Ma neanche i buchi neri più “voraci” riescono a fagocitare tutto il materiale che li circonda, innescando giganteschi venti che buttano via parte del materiale e che possono propagarsi su scale galattiche. Da anni, gli astrofisici dibattono circa l’importanza di questi venti e dei loro possibili effetti sull’evoluzione delle galassie ospiti tramite meccanismi di azione-e-reazione (o feedback) che avrebbero la capacità di regolare sia la crescita del buco nero centrale che la formazione di nuove stelle.
«Si tratta di un argomento di notevole importanza per la comprensione di come l’Universo si sia evoluto», commenta Giustina Vietri dell’Inaf di Milano, prima autrice di un nuovo lavoro che analizza, per la prima volta usando un campione rappresentativo di galassie attive, l’effetto di questi venti su diverse scale all’interno delle galassie. «In questo studio abbiamo cercato di far luce su uno dei problemi attualmente più discussi: il legame tra buco nero centrale supermassiccio e galassia ospite».
I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Astronomy & Astrophysics, fanno parte del progetto Super (A Sinfoni Survey for Unveiling the Physics and Effect of Radiative feedback) che ha già prodotto altre due pubblicazioni a firma dello stesso team di ricerca. Il progetto è nato con lo scopo di studiare la fuoriuscita di gas dai centri galattici utilizzando lo strumento Sinfoni montato sul Very Large Telescope dell’Eso in Cile.
«Sinfoni è uno spettrografo a campo integrale che opera nel vicino infrarosso e sfrutta l’ottica adattiva per ottenere spettri ad alta risoluzione di sorgenti estese», afferma Vincenzo Mainieri dell’Eso, principal investigator del progetto Super e co-autore del nuovo studio. «Quindi, rispetto agli strumenti usati in precedenza per fare survey spettroscopiche di galassie attive, Sinfoni permette di risolvere spazialmente il gas».
Grazie ai dati raccolti con Sinfoni, il team ha esaminato un campione rappresentativo di 21 galassie attive, studiando il legame tra i buchi neri e le loro galassie ospiti, per la prima volta, in maniera sistematica, ovvero senza selezionare le galassie per le quali si hanno già indicazioni della presenza di venti. Le osservazioni hanno rivelato venti galattici in tutte le sorgenti prese in esame, dimostrando che questi fenomeni sono molto comuni nella fase della storia cosmica a cui queste galassie appartengono, nella quale l’universo – che oggi ha ben 13.8 miliardi di anni – aveva un’età di soli 3 miliardi di anni.
«Questi venti, che viaggiano a velocità tra 3 e 7 milioni di km/h, si estendono fino a ventimila anni luce dai centri delle galassie ospiti», aggiunge Michele Perna dell’Inaf di Firenze e Centro de Astrobiología di Madrid, co-autore dell’articolo.
Usando un “microscopio” astronomico, ovvero analizzando gli spettri ottici di queste galassie disponibili negli archivi astronomici, le ricercatrici e i ricercatori hanno poi seguito i venti fino alla sorgente, in prossimità dei mastodontici buchi neri.
«Le righe emesse da atomi di carbonio ionizzato, visibili negli spettri della Sloan Digital Sky Survey, sono generate a pochi anni luce dal buco nero, e rivelano come i venti di materiale ionizzato scoperti con Sinfoni siano presenti anche su queste scale relativamente piccole, nel cuore delle galassie», spiega Vietri. «Così abbiamo potuto collegare, per la prima volta, la presenza dei venti galattici dalle scale più piccole a quelle più grandi».
I risultati mostrano che i venti osservati a piccole distanze dipendono fortemente dalle proprietà del buco nero centrale – quali il tasso di accrescimento oppure la luminosità del nucleo galattico, prodotta dall’attività del buco nero. Questi venti inoltre avrebbero la capacità di influenzare il gas fino ai confini delle rispettive galassie. In futuro, i ricercatori e le ricercatrici cercheranno di tracciare i venti su scale ancora più grandi, per continuare a studiare l’influenza che i buchi neri supermassicci possono, in questo modo, esercitare sull’evoluzione delle galassie.
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “SUPER III. Broad Line Region properties of AGN at z∼2”,di G. Vietri, V. Mainieri, D. Kakkad, H. Netzer, M. Perna, C. Circosta, C. M. Harrison, L. Zappacosta, B. Husemann, P. Padovani, M. Bischetti, A. Bongiorno, M. Brusa, S. Carniani, C. Cicone, A. Comastri, G. Cresci, C. Feruglio, F. Fiore, G. Lanzuisi, F. Mannucci, A. Marconi, E. Piconcelli, A. Puglisi, M. Salvato, M. Schramm, A. Schulze, J. Scholtz, C. Vignali e G. Zamorani
Leggi l’articolo originale su MEDIA INAF