L’ultima cosa che vorrebbe è scatenare una guerra fra “universotondisti” e “universopiattisti”, ma l’articolo che lo scienziato della Sapienza ha pubblicato la settimana scorsa su “Nature Astronomy”, insieme a Eleonora Di Valentino e Joseph Silk, sta facendo discutere la comunità dei cosmologi. Media Inaf lo ha intervistato
La geometria dell’universo potrebbe non essere “piatta” come credevamo. Oppure c’è qualcosa che ci sfugge nei dati del satellite Planck. E questo potrebbe avere conseguenze anche per la stima della costante di Hubble. Lo suggerisce un’analisi condotta sulla misura del lensing – la distorsione introdotta dall’effetto di lente gravitazionale, dunque dalla gravità – presente nelle ultimissime mappe della radiazione del fondo cosmico a microonde (Cmb) prodotte dal telescopio spaziale dell’Esa – quelle del 2018, le mappe “definitive” dunque. I risultati dello studio sono stati pubblicati la scorsa settimana su Nature Astronomy. E ne parliamo oggi con uno dei tre autori, Alessandro Melchiorri, professore alla Sapienza Università di Roma.
Cosa potrebbe spiegare i vostri risultati? Errori sistematici nei dati acquisiti da Planck? Errori nell’analisi o nell’interpretazione? Oppure l’universo è proprio a curvatura chiusa? Lei come la pensa?
«Noi cerchiamo di comportarci da scienziati e rimaniamo neutrali. Planck fornisce la misura più precisa dello spettro angolare delle anisotropie della radiazione di fondo cosmico che sono in linea di principio l’osservabile più affidabile che abbiamo in cosmologia. Questi dati favoriscono un universo chiuso. Questo modello però è in disaccordo con tutte le altre osservabili non-Cmb, le quali se messe insieme favoriscono pure loro un universo chiuso ma con costante di Hubble più alta. È impossibile secondo noi dire ora sia che l’universo sia chiuso sia escludere che lo sia per un solo 3-4 per cento. Forse c’è una grossa sistematica, forse un modello di universo totalmente nuovo».
In che senso il vostro risultato inciderebbe sul problema della tensione sulla costante di Hubble?
«Se si lascia la curvatura variare (cosa che i dati di Planck preferiscono), la costante di Hubble da Planck è 55 km/s/Mpc (invece di 67 km/s/Mpc) e quindi quasi a 5 sigma dal valore delle supernove (73 km/s/Mpc). Le cose quindi peggiorano. Per questo parliamo di crisi. La curvatura non è una soluzione, ma è impossibile non considerarla, dato che è ampiamente prevista dalla relatività generale e preferita dai dati di Planck».
È un risultato che non lascia certo indifferenti… come mai ve ne siete accorti voi, e non la Planck collaboration? Hanno snobbato le misure del lensing?
«Questo risultato era scritto (in piccolo) nei papers di Planck 2018 usciti l’anno scorso. Quindi non è solo la Planck collaboration che non gli ha forse dato il giusto risalto ma direi quasi tutti i cosmologi. Ovviamente è difficile dire perché la comunità non se ne sia interessata. Il punto forse è che sia gli esperimenti Boomerang e Wmap avevano ampiamente confermato un universo piatto (diciamo entro il 10-20 per cento) e questo in accordo con la teoria inflazionaria. Quindi la comunità – noi inclusi – si è forse come assopita su questo punto. Diciamo anche che l’idea che l’universo sia curvo per il 4 per cento e che le osservabili non siano in accordo non piace a molti cosmologi che ormai ritengono il modello Lambda-Cdm come indistruttibile. Come diceva Landau, i cosmologi sono sempre privi di dubbi e sempre in errore».
C’è solo il lensing o c’è anche qualcosa d’altro, nei dati di Planck, a sostegno della vostra tesi?
«Una precisazione: noi non siamo sostenitori di un universo curvo e chiaramente una divisione tra “universotondisti” e “universopiattisti” sarebbe deleteria. Noi vediamo – insieme alla Planck collaboration – che i dati di Planck suggeriscono un universo curvo. Per tornare alla domanda: oltre al lensing c’è anche un piccolo effetto dal basso quadrupolo della Cmb – misurato anche da Cobe e Wmap. Un universo chiuso permetterebbe anche topologie diverse che forse potrebbero spiegare le anomalie a livello di mappa riscontrate in passato. L’età dell’universo è anche molto maggiore, e questo è in migliore accordo con l’età stimata delle stelle più antiche, che alle volte risulta molto vicina (o superiore) ai 13.5 miliardi di anni. Inoltre, i dati non Cmb, se messi insieme, anche loro favoriscono un universo chiuso, ma con una costante di Hubble intorno a 73 km/s/Mpc – quindi incompatibile con il modello di Planck, che la trova sui 55 km/s/Mpc».
C’è un problema: quel 99 per cento di intervallo di confidenza che avete raggiunto con la vostra analisi è poco. È per quell’uno per cento mancante che c’è chi sostiene che il vostro risultato sia semplicemente frutto del caso, uno “statistical fluke”?
«Ovviamente abbiamo il massimo rispetto per chi la pensa in questo modo e, forse, può anche avere ragione. Però se fossi un dottore e scoprissi che un mio paziente ha il 99 per cento di probabilità di avere una brutta malattia non gli direi: stai tranquillo, è uno “statistical fluke”, ma suggerirei esami ulteriori! Nell’ambito della cosmologia – dove ipotizziamo la presenza di energia oscura, materia oscura e inflazione (quantità ancora mai viste in laboratorio e discutibili dal punto di vista teorico) – un 99 per cento per noi è un campanello di allarme. E uno stimolo a capire meglio».
Ma si può fare qualcosa per migliorarlo ulteriormente?
«Per andare oltre, l’ideale sarebbe un esperimento da satellite che misurasse nuovamente sulle scale di Planck con precisione migliore per la polarizzazione. Un satellite simile (Core) è stato proposto all’Esa due anni fa, ma l’hanno poi rigettato. Per fortuna sono in programma molte misure da terra (come il Simons Observatory), ma le contaminazioni atmosferiche e la stretta banda di frequenze accessibili sono un’incognita. Se questi piccoli esperimenti confermeranno i dati di Planck, allora si dovrà per forza di cose pensare a un nuovo esperimento su satellite. L’esperimento Euclid sicuramente porterà informazioni utili. Mi consenta una battuta: se Euclid confermerà l’universo chiuso, saremo forse costretti a rinominarlo Parmenides, che sosteneva l’universo sferico».
Per saperne di più:
Source: L’universo “piegato” da Alessandro Melchiorri | MEDIA INAF