Nel cuore rovente della fornace cosmica

Tre telescopi per un ammasso. Lui è Hsc J023336-053022, e per tracciarne tutte le proprietà è stato osservato in ottico, X e radio da Subaru, Xmm-Newton e dal radiotelescopio del Green Bank. I risultati combinati mostrano processi estremi che portano i gas al centro dell’ammasso a temperature di centinaia di milioni di gradi. Fra gli autori dello studio, pubblicato su Mnras, ci sono Fabio Gastaldello e Mauro Sereno dell’Istituto nazionale di astrofisica

mmagine composita dell’ammasso di galassie Hsc J023336-053022. Crediti: Radio: Gbt Green Bank Observatory / National Science Foundation (Nsf); Optical: Subaru Telescope, National Astronomical Observatory of Japan / Hsc-Ssp collaboration; X-ray: European Space Agency (Esa) / Xmm-Newton/Xxl survey consortium

Là nel cuore dell’ammasso di galassie Hsc J023336-053022 – noto anche come Xlssc 105 – sono giorni roventi. O meglio, senz’altro lo erano quattro miliardi di anni fa – perché tanto è il tempo che la sua luce ha impiegato a raggiungerci. Quella stessa luce – raccolta ora da vari telescopi, a terra e nello spazio, sensibili a diverse bande dello spettro elettromagnetico – ci racconta di un ambiente che torrido è dir poco. Lì al centro dell’ammasso, dove s’infrangono le onde d’urto di due sub-ammassi, la temperatura del gas raggiunge centinaia di milioni di gradi. Per fare un confronto: la materia lì presente ha una temperatura 25 volte più elevata di quella del nucleo del Sole.

Le galassie non sono distribuite casualmente nell’universo: si trovano raggruppate in grandi ammassi. Queste aggregazioni possono essere gigantesche, e talvolta arrivano e contenere migliaia di singole galassie ciascuna, tutte incorporate in agglomerati di materia oscura.
All’interno di un singolo ammasso si possono incontrare sub-ammassi, ovvero sottogruppi di galassie. Ne sono un esempio le due sfere blu-violacee che si vedono nell’immagine di Hsc J023336-053022: sono i due sottogruppi che, scontrandosi lentamente l’uno con l’altro, portano il gas presente nel cuore dell’ammasso alle temperature estreme che dicevamo.
Il colore blu, in particolare, riflette la distribuzione della materia oscura, ricostruita attraverso la survey Hsc, condotta con il telescopio ottico giapponese Subaru. L’arancione rappresenta le singole galassie, mentre i colori verde e rosso evidenziano rispettivamente il gas caldo più denso – osservato in raggi X con la survey Xxl del telescopio spaziale Xmm-Newton dell’Esa – e quello più rarefatto, tracciato in banda radio dal telescopio ottico giapponese Subaru statunitense.

Ed è proprio l’aggiunta di osservazioni radio ad aver consentito di cogliere appieno il processo di riscaldamento da shock – qui rappresentato visivamente nella regione in cui il verde vira verso il rosso. Un processo che rilascia immense quantità di energia e riscalda il gas – già di per sé bollente, attorno ai 40 milioni di gradi – a temperature decine di volte più calde: centinaia di milioni di gradi, appunto. Una fornace, l’hanno definita gli astrofisici che hanno firmato l’articolo pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society lo scorso settembre. Del team internazionale che ha condotto lo studio multibanda, guidato da Nobuhiro Okabe dell’Università di Hiroshima (Giappone), fanno parte anche due ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf): Fabio Gastaldello dell’Inaf Iasf di Milano e Mauro Sereno dell’Inaf Oas di Bologna.

«Questo risultato mostra la potenza di uno studio approfondito degli ammassi di galassie su un’ampia porzione dello spettro elettromagnetico», dice a Media Inaf Gastaldello. «L’Istituto nazionale di astrofisica ormai da lungo tempo contribuisce in modo importante alla survey XXL. Per questo lavoro in particolare, per quanto riguarda l’analisi e interpretazione sia dei dati X che di lensing debole con il contributo di Mauro Sereno, mentre io coordino il gruppo di lavoro congiunto tra le survey XXL e HSC assieme al mio collega giapponese Nobuhiro Okabe, primo autore dell’articolo. È grazie a questo sforzo che è nato il progetto che ha portato a questo risultato».

Per saperne di più:

Leggi l’articolo originale su MEDIA INAF

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