Mai come negli ultimi due anni la ricerca sulla nucleosintesi degli elementi chimici pesanti ha catalizzato l’attenzione della comunità scientifica: a partire dalla scoperta nel 2017 di elementi pesanti e rari – come l’oro e il platino – prodotti durante la fusione di due stelle di neutroni in un fenomeno denominato kilonova’, associato al segnale di onde gravitazionali Gw 170717, sino alla più recente identificazione delle righe spettrali dello stronzio nello spettro della stessa curva di luce.

Crediti: N. Prantzos et. al., Mnras, 2019

Parallelamente a queste scoperte osservative, gli astrofisici teorici si sono impegnati a calcolare modelli stellari in grado di riprodurre quanto osservato, e predire quanto non ancora osservato. Tra le questioni più importanti e delicate vi è quella di identificare con precisione come e dove nelle stelle si formano gli elementi più pesanti del ferro (Fe). L’argomento è stato affrontato recentemente in un articolo, pubblicato sua Monthly Notices of Royal Astronomical Society, firmato fra gli altri anche da tre ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica: Sergio Cristallo, Marco Limongi e Alessandro Chieffi.

La maggioranza degli isotopi più pesanti del ferro vengono sintetizzati negli interni stellari attraverso due tipi di processi di cattura neutronica: la cattura neutronica lenta (processo “slow”, s) e la cattura neutronica veloce (processo “rapid”, r); alcuni isotopi rari ricchi di protoni vengono invece prodotti nel cosiddetto “processo p”. I modelli teorici che riproducono il “processo r” sono ancora lontani dall’avere un potere predittivo significativo, a causa sia della complessità nel simulare le fasi dell’esplosione, sia delle numerose incertezze sui dati nucleari relativi agli isotopi lontani dalla cosiddetta “valle di stabilità β (beta)”. A causa di queste difficoltà, ad esempio, il contributo del “processo r” alla formazione degli elementi misurati sulla superficie del Sole viene calcolato sottraendo il corrispondente contributo derivante dal processo s (ossia r=1-s).

Sergio Cristallo, ricercatore all’Inaf – Osservatorio astronomico d’Abruzzo e coautore dello studio pubblicato su Mnras

«Nello studio appena pubblicato», spiega Cristallo, «abbiamo ricalcolato le percentuali relative al contributo “s” utilizzando un nuovo modello fisico-numerico, che simula l’evoluzione chimica della materia nella nostra galassia. Tra gli ingredienti fondamentali figurano la quantità di elementi “s” espulsi da una stella (i cosiddetti “yields stellari”) prodotti negli interni delle stelle massicce (con massa almeno 10 volte quella del Sole) e di quelle di massa piccola e intermedia (tra 1 e 6 volte la massa del Sole) durante la fase di ramo asintotico (asymptotic giant branch, Agb). Le quantità utilizzate derivano da modelli evolutivi stellari calcolati con codici numerici che condividono la stessa matrice e risultano – di conseguenza– tra loro omogenei. Questo risultato è dunque unico nel suo genere. Inoltre, per la prima volta in letteratura, il risultato finale è stato determinato da una sequenza di modelli di evoluzione chimica, che correggono iterativamente il contributo “s” ed “r” nella distribuzione solare, sino a raggiungere il livello di convergenza desiderato».

«Le differenze principali rispetto ai lavori precedenti», continua Cristallo, «risultano essere nella regione della cosiddetta “componente debole” del “processo s”, dove, per la prima volta, per alcuni isotopi – in precedenza interamente ascritti al “processo r”, come l’isotopo 76 del germanio (76Ge) e l’isotopo 82 del selenio (82Se) –, è stato previsto un contributo non trascurabile dal processo “s”».

Il confronto tra il nuovo modello e la distribuzione solare osservata mostra un accordo eccellente, tenuto conto delle incertezze osservative, come si può apprezzare nel grafico superiore della figura qui sopra, dove le previsioni teoriche delle abbondanze degli elementi al momento della formazione del Sole, avvenuta circa 4,5 miliardi di anni fa, vengono confrontate con la corrispondente distribuzione degli elementi misurata. Nel grafico inferiore della stessa figura, invece, il risultato teorico è scomposto nelle tre componenti nucleosintetiche alla base della produzione degli elementi pesanti: il “processo s” (punti gialli), che avviene nelle stelle Agb e nei nuclei delle stelle massicce prima dell’esplosione; il “processo r” (quadrati azzurri), che avviene durante la fusione di due stelle di neutroni o durante lo scoppio di una stella di neutroni con un forte campo magnetico (magnetar); e il “processo p” (crocette viola), responsabile della produzione di alcuni rari isotopi ricchi di protoni.

Contributo dei processi s, r e p alla composizione pre-solare di isotopi ed elementi. Il contributo di ciascun processo è proporzionale all’area colorata della casella corrispondente. Crediti: N. Prantzos et. al., Mnras, 2019

«Esistono gruppi di elementi principalmente prodotti dal “processo s”, come stronzio (Sr), ittrio (Y), zirconio (Zr), bario (Ba), lantanio (La), cerio (Ce), neodimio (Nd) e piombo (Pb); o dal processo “r”, come rutenio (Ru), rodio (Rh), iodio (I), xenon (Xe), europio (Eu) gadolinio (Gd) e terbio (Tb). Le tabelle con le nuove percentuali del contributo “r”», conclude Cristallo, «saranno nei prossimi anni un riferimento per gli scienziati che studiano questo processo: in particolare, le percentuali isotopiche per gli elementi dal gallio al bismuto sono complementari allo studio pubblicato dall’astronoma Jennifer Johnson sulla rivista Science lo scorso febbraio».

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Source: Oltre il ferro: nucleosintesi di isotopi pesanti | MEDIA INAF