Stelle di neutroni, nane bianche, stelle in formazione: tutte, raggiunte determinate condizioni, mostrano lo stesso comportamento, ovvero la capacità di espellere materia ad altissima velocità: un fenomeno noto con il nome di ”propeller”. A fornire prove di questa universalità è il lavoro di quattro ricercatori dell’Inaf
Tutti da bambini hanno provato un leggero giramento di testa salendo su una giostra. Per fortuna la giostra non ruota troppo velocemente. Se lo facesse ci si sentirebbe proiettati verso l’esterno. Lo stesso avviene per la materia che tenta di accrescere su una stella dotata di campo magnetico e che ruota rapidamente su sé stessa. Se la materia è ionizzata (e quindi carica elettricamente), viene costretta a seguire le linee del campo magnetico della stella che la trascina alla sua velocità di rotazione. Se però la stella ruota troppo velocemente la materia viene respinta verso l’esterno (come per la giostra), e non riesce ad arrivare alla superficie della stella.
Questo effetto si chiama propeller e richiede come ingredienti solamente una stella con un po’ di campo magnetico e una sufficiente velocità di rotazione. Ad esempio, una stella di neutroni che compie circa 500 rotazioni al secondo e con un campo magnetico cento milioni di volte più intenso di quello della Terra riesce a bloccare e respingere la materia che cade alla velocità strabiliante di circa 50mila chilometri al secondo, ovvero un sesto della velocità della luce.
Un team tutto composto da ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica ha studiato questo fenomeno e realizzato un articolo pubblicato oggi sulla rivista Astronomy&Astrophysics. «Il meccanismo in sé è universale» dice Sergio Campana, dell’Inaf di Milano, che ha coordinato il team, di cui fanno parte Luigi Stella (Inaf di Roma), Sandro Mereghetti (Inaf di Milano) e Domitilla de Martino (Inaf di Napoli). «In questo lavoro abbiamo esaminato le sue conseguenze in diverse classi di sorgenti contenenti una stella di neutroni o una nana bianca o una stella in formazione. Abbiamo così campionato scale e ambienti molto diversi, dimostrando empiricamente l’universalità del propeller».
Per far questo, innanzitutto i ricercatori hanno dovuto trovare un’evidenza osservativa dell’instaurarsi del processo andando a esaminare sorgenti in cui la luminosità osservata deriva dal fenomeno dell’accrescimento. La loro luminosità è cioè prodotta dalla materia che cade sulla stella e quindi è tanto più intensa quanta più materia accresce sul corpo celeste.
All’instaurarsi del propeller la luminosità dovrebbe cessare o diminuire significativamente perché la materia non può più accrescere ma viene respinta. Studiando sorgenti variabili appartenenti a diverse classi, ma per cui il periodo di rotazione e l’intensità del campo magnetico fossero note, i ricercatori hanno determinato a quale luminosità si osserva l’effetto propeller.
«Questo ci ha permesso di verificare su base puramente osservativa la relazione prevista dalla teoria classica tra le quantità fondamentali in gioco, come il periodo di rotazione il campo magnetico e luminosità», aggiunge Campana. «La cosa sorprendente, che dimostra quanto la teoria sia fondamentale, è che questa relazione è valida per oggetti molto diversi tra loro che hanno periodi di rotazione da pochi millisecondi a diversi giorni e campi magnetici che differiscono di un fattore un miliardo. La teoria classica dell’accrescimento trova quindi una delle prime conferme osservative dirette su un intervallo di parametri così ampio».
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Source: Propeller, un fenomeno universale | MEDIA INAF