Rappresentazione artistica dei tre soli che illuminano il cielo dell’esopianeta a noi più vicino: Proxima Centauri b. Crediti: Eso/M. Kornmesser

Esistono esopianeti che girano intorno a sistemi doppi di stelle? E come si comportano? Uno studio tedesco analizza per la prima volta i dati del satellite Gaia alla ricerca di stelle compagne di quelle in cui già sono stati osservati esopianeti. Una sorta di studio comportamentale sulla “famiglia allargata” di tipo cosmico, dunque, che ha portato a risultati molto interessanti. Ad esempio, un pianeta può sopravvivere alla fine di una stella come il Sole.

Le scoperte sui pianeti extrasolari continuano a stupire e, in fondo, a renderci consapevoli che il sistema in cui ci troviamo – il Sistema solare – è tra i più semplici, tranquilli e, se vogliamo, noiosi che la natura potesse concepire: quello monoparentale. Lo ha dimostrato Markus Mugrauer dell’Università Friedrich Schiller di Jena, in Germania, pubblicando su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society i risultati di uno studio che ha cercato, e trovato, stelle compagne in quei sistemi dove già si conoscevano esopianeti.

Gaia, strumento fondamentale per sondare la Via Lattea

Uno studio tanto preciso e dettagliato è stato possibile utilizzando i preziosissimi dati rilasciati dal telescopio spaziale Gaia, lanciato dall’Agenzia spaziale europea (Esa) nel 2013 per studiare i movimenti di circa un miliardo di stelle della Via Lattea e creare, di conseguenza, un’ambiziosa mappa 3D della Galassia. Nel 2018 Gaia ha reso disponibile al mondo scientifico la sua seconda data release, consentendo di fatto la realizzazione dello studio tedesco.

Alcune delle stelle prese in esame dallo studio, qui mostrate assieme alle loro compagne (indicate dalle lettere B e C). Crediti: Mugrauer, PanStarss

I dati forniti da Gaia sono stati analizzati da Mugrauer per scovare una categoria ancora poco conosciuta: i sistemi multipli di stelle contenenti esopianeti. La maggior parte dei circa 4mila esopianeti finora scoperti orbita attorno a stelle singole, come il nostro Sole. Mugrauer è invece andato alla ricerca di sistemi doppi, ma anche tripli e persino quadrupli, dimostrando in tal modo che l’esistenza e la conseguente gravità esercitata da più stelle influenza il processo attraverso il quale i pianeti nascono ed evolvono, un po’ come fanno i bambini di una famiglia, che assorbono le influenze e i comportamenti di uno o più adulti che ne guidano la crescita.

«I sistemi a più stelle sono molto comuni nella Via Lattea», dice Mugrauer. «Se tali sistemi includono pianeti, sono di particolare interesse per l’astrofisica, perché i sistemi planetari in essi possono differire dal Sistema solare anche in modi fondamentali». Per scoprire fin dove si potessero spingere queste differenze, Mugrauer ha quindi analizzato – ponendosi come limite la distanza di 500 parsec, equivalente a 1600 anni luce – oltre 1.300 stelle già sicuramente ospitanti uno o più esopianeti ,per vedere se avessero o meno stelle compagne.

Nane gialle, rosse e bianche

Lo studio è riuscito quindi a dimostrare l’esistenza di almeno una stella compagna per circa 200 delle stelle – perlopiù nane gialle – prese in esame. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di sistemi doppi, ma in 27 casi le stelle erano tre, e in un caso addirittura quattro. Analizzando i dati, Mugrauer è stato anche in grado di caratterizzare le stelle associate e i loro sistemi in modo più dettagliato. Ha infatti scoperto che esistono sia sistemi ravvicinati con distanze tra le stelle di sole 20 unità astronomiche (Ua) – dunque, con le due stelle che orbitano in uno spazio come quello che separa il Sole da Urano – sia sistemi molto più ampi, con stelle distanti fino a 10mila Ua l’una dall’altra: distanza che, nel Sistema solare, si collocherebbe tra la fine della Fascia di Kuiper, a 50 Ua, e l’inizio della Nube di Oort, che inizia molto più in là, a 50mila Ua.

La stella Hip116454, al centro di un sistema planetario a circa 200 anni luce dalla Terra, ha per compagna una debole nana bianca (lettera B). Crediti: Mugrauer, Sdss

Le stelle compagne individuate variano anche in termini di massa, temperatura e stadio di evoluzione. La più “pesante” ha una massa di 1,4 volte il Sole, mentre la più “leggera” ha solo l’8 per cento della massa solare. La maggior parte delle stelle compagne sono comunque stelle nane fredde e di bassa massa caratterizzate da una debole luminosità tendente al rosso, conosciute per questo come nane rosse. Tuttavia, in questo stuolo di gracili damigelle delle stelle madri, sono state individuate anche otto nane bianche, che sono grandi come la Terra ma pesano la metà del Sole, essendo il risultato finale dei collassi gravitazionali che portano alla morte di una nana gialla come il Sole stesso. Questo dato è di grande importanza perché la compresenza di nane bianche ed esopianeti dimostra che questi ultimi possono sopravvivere alla fase finale di rilascio degli strati esterni tipica dell’evoluzione finale di queste piccole stelle.

È dunque plausibile pensare che tra cinque miliardi di anni, quando il Sole finirà il carburante (l’idrogeno), il suo previsto rigonfiamento e il rilascio tutto intorno di quanto ne resta investirà sicuramente i pianeti che, però, potrebbero sopravvivere e non variare di molto le proprie orbite, anche se è prematuro fare ipotesi su quali potrebbero essere i coraggiosi survivors.

Troppe stelle inibiscono la formazione dei pianeti

Ma c’è di più, perché la scoperta 200 sistemi stellari multipli con esopianeti, su 1300 stelle simili al Sole analizzate, rappresenta solo il 15 per cento del totale: ovvero la metà di quanto ci si aspetterebbe per questa tipologia di stelle. In pratica, ci si attendeva che questi sistemi stellari multipli con esopianeti sarebbero stati il doppio di quelli trovati. Inoltre, sottolinea l’autore, nei casi individuati le distanze tra le stelle sopra menzionate sono ben cinque volte superiori a quelle attese.  Come mai?

«Questi due fattori messi insieme potrebbero indicare che l’influenza di diverse stelle in un sistema stellare interrompe il processo di formazione del pianeta e l’ulteriore sviluppo delle loro orbite», spiega Mugrauer. In pratica, il “genitore 2”, e, peggio ancora, il 3 e il 4, avrebbero effetti nefasti in primis sulla formazione dei pianetini – perché andrebbero ad attirare a sé buona parte della materia del disco di accrescimento di cui questi ultimi si sarebbero normalmente nutriti – e, in secondo luogo, anche una volta formati, i pianeti subirebbero dalle stelle in eccesso influssi gravitazionali estremamente violenti e negativi per le loro orbite.

Per saperne di più:

Source: Quando un singolo Sole non basta | MEDIA INAF