Quelle stelle troppo antiche per il disco galattico

Una ricerca condotta da un team internazionali di astronomi ha scoperto una popolazione molto antica di stelle in orbita nel disco della Via Lattea, una regione nella quale non si pensava potessero esistere, spingendo a ripensare alle attuali teorie di formazione ed evoluzione della nostra galassia. Il primo autore dello studio, pubblicato su Mnras, è Giacomo Cordoni, dottorando all’Università di Padova. Lo abbiamo intervistato.

La nostra galassia, la Via Lattea, è una splendida spirale composta da un rigonfiamento chiamato bulge galattico, da un disco, dai bracci della spirale e dall’alone galattico. Come nelle altre galassie a spirale, tutte le stelle presenti ruotano attorno al centro galattico, lungo orbite ellittiche o quasi circolari. Queste stelle si possono dividere in due grandi popolazioni: quelle della popolazione II, o di prima generazione, che risalgono alle prime fasi di vita della nostra galassia, e quelle di popolazione I, o di seconda generazione, formatesi dalla materia delle stelle di prima generazione che sono esplose come supernove. Le prime, la cui composizione chimica in metalli è scarsa rispetto a quelle di seconda generazione, sono presenti quasi esclusivamente nel bulge e nell’alone galattico. Almeno così si credeva fino a poco tempo fa.

Rappresentazione artistica dell’orbita di Smss j232121.57-160505.4, una delle stelle trovate dal team guidato da Giacomo Cordoni all’interno del disco galattico su un’orbita quasi circolare molto simile a quella del Sole. Il punto bianco rappresenta la posizione attuale della stella. Il punto nero e la linea circolare tratteggiata indicano rispettivamente la posizione e l’orbita del Sole. Crediti: Cordoni et al., Mnras 2020

Grazie alle osservazioni condotte da terra con il telescopio SkyMapper dell’Australian National University (Anu), e dallo spazio con il satellite Gaia dell’Agenzia spaziale europea, un gruppo internazionale di astronomi ha infatti osservato una popolazione di stelle molto antiche in una regione nella quale non si aspettavano di trovarne. Lo studio, accettato per la pubblicazione su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, è destinato a riscrivere la teoria di formazione della nostra galassia.

Per saperne di più, Media Inaf ha raggiunto Giacomo Cordoni, dottorando al Dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Padova e primo autore della ricerca, finanziata dal Consiglio europeo della ricerca nell’ambito del progetto Galfor e condotta in gran parte insieme al team di ricerca del Premio Nobel per la Fisica 2011 Brian Schmidt.

Giacomo Cordoni, dottorando al Dipartimento di fisica e astronomia “Galileo Galilei” dell’Università di Padova e primo autore dello studio pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society

Perché sono importanti le stelle povere di metalli per studi di evoluzione galattica?

«È importante individuare e studiare queste stelle in quanto sono le ‘’figlie’’ delle prime stelle, ovvero tra le più antiche dell’universo. Il Big Bang ha infatti prodotto idrogeno, elio e un po’ di litio, mentre tutti gli elementi più pesanti del litio – i “metalli’’ – vengono sintetizzati nelle stelle. Più queste evolvono e muoiono e più aumenta la quantità di metalli nelle stelle successive. Di conseguenza stelle con bassissimo contenuto di metalli sono molto antiche e ci possono fornire informazioni sulle prime fasi di formazione della nostra galassia».

Su 475 stelle studiate ne avete scoperto circa una cinquantina che mostrano delle orbite quasi circolari allineate al disco galattico. Un risultato che non vi aspettavate, scrivete. Perché?

«È un risultato inatteso in quanto ci si aspettava che le stelle più antiche si trovassero nel bulge galattico o nell’alone galattico, ma non nel disco. Questo e altri recenti lavori hanno mostrato come una frazione di queste stelle antiche orbiti invece molto vicino al disco galattico, con proprietà orbitali simili a quelle del Sole».

Quali conseguenze ha questa scoperta sulle attuali ipotesi di formazione della Via Lattea?

«Il comune scenario di formazione della Via Lattea prevede che nelle prime fasi si siano formati il bulge galattico e l’alone galattico, mentre il disco si sarebbe formato solamente in un’epoca successiva, dal depositarsi di gas arricchito dalla formazione stellare. In questo contesto non ci aspetterebbe dunque di trovare stelle con bassissimo contenuto di metalli in orbita attorno al disco galattico. Sappiamo oggi che questo è in contraddizione con le più recenti osservazioni».

Come cambieranno i futuri studi di evoluzione e formazione della nostra galassia alla luce di questo studio?

«I futuri modelli dovranno senz’altro tenere conto della presenza di questa “nuova’’ popolazione di stelle, rivedendo quindi il processo di formazione della galassia. Più difficile è invece dire in che modo cambieranno. Varie ipotesi sono state avanzate ma la risposta è ancora incerta».

Avete già in mente un sequel della ricerca? 

«Le stelle che abbiamo analizzato sono parte della SkyMapper survey for Extremely Metal-Poor stars, una survey australiana tutt’ora in corso. Cercheremo quindi di estendere questo studio aumentando il campione di stelle e estendendo la regione analizzata».

Qual è l’obiettivo?

«Aumentando il campione possiamo trarre maggiori informazioni sulle proprietà di queste stelle, sia dal punto di vista chimico che da quello dinamico. È infatti molto importante caratterizzare le proprietà di questa popolazione per futuri studi teorici».

Durante il suo soggiorno all’Australian National University ha avuto modo di lavorare nel team di Brian Schmidt, Premio Nobel per la Fisica 2011. Com’è stato?  «Lavorare in un team di cui fanno parte alcuni tra i più esperti (e famosi) astronomi del settore è sicuramente molto stimolante. Non capita tutti i giorni, ma speriamo che capiti ancora».

Per saperne di più:

Leggi articolo originale su MEDIA INAF

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