In questi anni lo studio dei pianeti extrasolari è evoluto dall’identificazione delle stelle con sistemi esoplanetari – attraverso il metodo dei transiti e delle velocità radiali (metodi che permettono anche una prima determinazione delle loro proprietà fisiche quali massa, dimensioni e densità) – alla caratterizzazione delle loro atmosfere, grazie a strumenti disponibili oggi come Wfc3, la Wide Field Camera 3 a bordo dell’Hubble Space Telescope. Durante i transiti, ossia quando il pianeta transita sul disco stellare lungo la nostra linea di vista, infatti, parte della luce stellare è filtrata dall’atmosfera dell’esopianeta. Questo lascia un’importante impronta nello spettro della stella, che presenta righe di assorbimento dei gas e delle molecole contenute nell’atmosfera dell’esopianeta.
Osservazioni spettroscopiche con elevati rapporti segnale/rumore, quindi, possono permetterci di studiare la composizione chimica delle atmosfere esoplanetarie, la loro stratificazione, e in principio di individuare la presenza di elementi chimici legati alla presenza di vita sul pianeta. Questo sarà uno degli obiettivi scientifici di Jwst, il successore dell’Hubble Space Telescope, che verrà lanciato in orbita nei prossimi anni, e il principale obiettivo della missione Ariel, dedicata alla caratterizzazione delle atmosfere esoplanetarie e che vede un forte coinvolgimento della comunità scientifica italiana.
Il problema di risalire alla composizione chimica e alle proprietà di un’atmosfera esoplanetaria dagli spettri osservati è, però, un problema in principio mal posto. Si cerca, infatti, di ricostruire un sistema fisico parecchio complesso, che richiede modelli con molti gradi di libertà, a partire dalle poche informazioni presenti negli spettri osservati. Inoltre, il processo di convergenza di un modello di atmosfera con un adeguato livello di complessità richiede un numero di iterazioni molto elevato – centinaia di migliaia, se non milioni – implicando tempi di calcolo insostenibili.
Una possibile soluzione al problema è implementare allo studio delle atmosfere esoplanetarie algoritmi di intelligenza artificiale, ossia l’utilizzo di metodi statistici che hanno lo scopo di permettere a determinati algoritmi di calcolo di imparare e fare predizioni sui dati. In questo ambito risulta promettente l’uso delle reti neurali artificiali , che permettono al computer di imparare direttamente dai dati, generalizzando le informazioni e risolvendo problemi complessi. Questi algoritmi sono vagamente ispirati alla rete neuronale del cervello, dove i calcoli vengono eseguiti da gruppi neuronali interconnessi tra di loro dallo scambio di input e output.
Nell’articolo “ExoGAN: Retrieving Exoplanetary Atmospheres Using Deep Convolutional Generative Adversarial Networks” di Tiziano Zingales – dottorando allo University College di Londra e all’Osservatorio astronomico dell’Inaf di Palermo, e ora ricercatore postdoc al è descritto l’algoritmo ExoGan (Exoplanet Generative Adversarial Network), adatto per identificare le molecole presenti in un’atmosfera esoplanetaria, studiarne l’abbondanza e determinare i parametri fisici dell’atmosfera dall’analisi degli spettri ad alta risoluzione. ExoGan è una deep convolutional generative advesarial network: un tipo di algoritmi deep learning particolarmente versatile, che può essere applicato a vari strumenti e tipi di esopianeti.
Per saperne di più:
Source: Reti neurali per le atmosfere aliene | MEDIA INAF