Voyager 1. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

Non ci sarebbe nulla di strano se, provando a riavviare l’auto rimasta in garage per decenni, questa non andasse in moto… Imprevisti di questo tipo accadono frequentemente, anche senza aspettare decenni, e per fortuna abbiamo la possibilità di chiamare un meccanico che prontamente sistema tutto e ci fa ripartire.

Martedì scorso, 28 novembre 2017, è successa una cosa che ha dell’incredibile e testimonia l’eccellente qualità e robustezza delle sonde spaziali che possiamo vantarci di avere in giro per lo Spazio: a 21 miliardi di km di distanza, dove non ci sono meccanici pronti ad aiutarci se qualcosa va storto, i propulsori del Voyager 1 si sono riaccesi, dopo 37 anni di inutilizzo, e hanno funzionato alla perfezione per controllarne l’assetto.

Per chi non lo sapesse, il Voyager 1 è il nostro pioniere spaziale più lontano (in agosto si trovava a 20.8 miliardi di km dal Sole) e più veloce (circa 17 km/s), nonché l’unico oggetto creato dall’uomo in viaggio nello spazio interstellare, verso i confini del Sistema solare. Venne lanciato nell’estate del 1977 da Cape Canaveral. Attualmente sta fornendo dati utili a caratterizzare l’eliopausa, la regione in cui la pressione esercitata dalle particelle del vento solare diminuisce fino diventare pari a quella delle particelle provenienti dall’esterno del Sistema solare. Tra circa 300 anni raggiungerà la nube di Oort, e varcherà i confini del Sistema solare tra circa 30mila anni, continuando ad orbitare intorno al cuore della galassia, come un ambasciatore silenzioso della nostra civiltà.

La possibilità del Voyager di comunicare con la Terra si basa sul funzionamento di piccoli propulsori che generano “sbuffi” di idrazina della durata di pochi millisecondi, in grado di ruotare la sonda e allineare la sua antenna verso il nostro pianeta, riuscendo così a trasmettere il segnale, o a riceverlo. Martedì 28 novembre, il team della sonda Voyager 1 ha riacceso i quattro propulsori Tcm (Trajectory Correction Maneuver) per la prima volta dopo 37 anni e li ha utilizzati per orientare l’assetto della sonda, usando impulsi della durata di 10 millisecondi ciascuno. L’attesa per sapere l’esito della manovra è stata lunga poiché, data la distanza, il segnale ha impiegato ben 19 ore e 35 minuti per raggiungere l’antenna di Goldstone, in California, ma il giorno dopo il team ha avuto la conferma del perfetto funzionamento dei propulsori e del successo della manovra!

Ma perché è stato necessario risvegliare quei propulsori?

Dal 2014 gli ingegneri hanno notato che i propulsori del controllo di assetto, utilizzati dalla sonda per orientarsi nello spazio, si stanno degradando. In particolare, con il passare degli anni, richiedono sempre più impulsi per ottenere la variazione d’assetto desiderata. Purtroppo questa degradazione dell’efficienza dei propulsori potrebbe portare ad un termine anticipato della missione, prima ancora che si esaurisca l’alimentazione elettrica.

Per studiare e risolvere il problema, il team del Voyager ha riunito un gruppo di esperti presso il Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa, a Pasadena, in California. Chris Jones, Robert Shotwell, Carl Guernsey e Todd Barber hanno analizzato diversi scenari, arrivando alla soluzione di assegnare le manovre di assetto ad un gruppo di propulsori inutilizzato dal 1980.
«Il team del Voyager è andato a ripescare dati vecchi di decenni e ha esaminato il software scritto in un linguaggio ormai obsoleto, per essere sicuro di poter effettuare in piena sicurezza questa manovra che utilizza i vecchi propulsori, senza danneggiare la sonda», ha detto Jones, capo ingegnere del JPL.

Nella fase iniziale del programma, il Voyager 1 ha osservato i pianeti Giove e Saturno, arricchendo in maniera impressionante la nostra conoscenza e la documentazione sull’attività vulcanica di Io e sulla superficie liscia di Europa. Per puntare gli strumenti della sonda con precisione sugli innumerevoli obiettivi della sonda, gli ingegneri utilizzarono la Tcm, una manovra di correzione della traiettoria che faceva uso dei propulsori posti nella parte bassa del corpo della sonda, analoghi in dimensione e funzione a quelli di assetto. I propulsori Tcm non sono stati più usati dall’8 novembre 1980, ossia da quando il Voyager 1 ha visitato Saturno. A quel tempo, i propulsori Tcm non erano mai stati usati con impulsi, bensì venivano usati in maniera continua per puntare gli obiettivi.

«Con questi propulsori, ancora funzionanti dopo 37 anni di inutilizzo, saremo in grado di estendere la vita del veicolo spaziale Voyager 1 di due o tre anni», ha detto Suzanne Dodd, project manager del programma Voyager presso il Jpl. Abbiamo in programma di iniziare ad utilizzare i propulsori Tcm a partire da gennaio. Per farlo sarà necessario accendere un iniettore per ogni propulsore. Questa operazione richiederà energia elettrica, una risorsa estremamente limitata a bordo della sonda. Quando non ci sarà più energia sufficiente per far funzionare gli iniettori, si tornerà ai propulsori di controllo di assetto.

Il test effettuato la scorsa settimana è andato così bene che il team probabilmente eseguirà un test simile sui propulsori Tcm per la sonda Voyager 2, la navicella gemella di Voyager 1 che entrerà nello spazio interstellare tra pochi anni, anche se i suoi propulsori di controllo di assetto non sono ancora così degradati come quelli della Voyager 1.

Tutti i propulsori delle due sonde Voyager sono stati realizzati dalla Aerojet Rocketdyne. Lo stesso tipo di propulsori, detti MR-103, hanno volato anche su altre sonde della Nasa come Cassini e Dawn.

Le navicelle spaziali Voyager sono state progettate e costruite dal Jpl, che sta continuando ad occuparsi delle operazioni in volo. Jpl è una divisione del Caltech, a Pasadena. Le missioni Voyager sono parte del Nasa Heliophysics System Observatory, sponsorizzato dalla Heliophysics Division del Science Mission Directorate a Washington.

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