Orbita del TNO 2014 MU69

L’orbita eliocentrica del Tno 2014 Mu69 (la linea bianca più esterna) è praticamente circolare e giace sul piano dell’Eclittica. Per compiere un giro completo questo Tno impiega circa 300 anni (cliccare per ingrandire). Crediti: Jpl Small-Body Database Browser

Dopo lo storico flyby con il sistema di Plutone, avvenuto il 14 luglio 2015, la sonda New Horizons della Nasa, in veloce allontanamento dal Sole, è stata diretta verso un piccolo asteroide trans-nettuniano (Tno), scoperto il 26 giugno 2014 dal telescopio spaziale “Hubble”: (485968) 2014 Mu69. Il team della New Horizons aveva dato un soprannome mitologico a questo corpo chiamandolo affettuosamente “Ultima Thule”.

Il nome trae la sua origine dalla mitologia greca. Thule è un’isola leggendaria, citata per la prima volta in un rapporto di viaggio dell’esploratore greco Pythéas nel 330 a.C., durante l’esplorazione dell’Atlantico del Nord. La parola “thule” deriva dall’etrusco “tular”, che significa confine. Nei secoli, i tentativi di individuare l’isola di Thule con qualcosa di reale sono stati numerosi e infruttuosi, ma è probabile che Pythéas abbia semplicemente descritto l’Islanda. Nel corso del medioevo, però, si andò consolidando il mito di “ultima Thule”, a indicare tutte le terre, incredibili e meravigliose, che si trovano al di là di quelle conosciute. In effetti 2014 Mu69 è il corpo più lontano dal Sole esplorato direttamente da una sonda e – in un certo senso – rappresenta il “confine” della nostra conoscenza sul Sistema solare.

Questo TNO gira attorno al Sole impiegando quasi 300 anni (circa 50 in più di Plutone), percorrendo un’orbita quasi circolare e a bassa inclinazione sul piano dell’Eclittica, avente un “raggio” di circa 6,68 miliardi di km (circa 44 Unita’ Astronomiche) : si tratta di un corpo appartenente alla fascia di Kuiper classica. La fascia di Kuiper è quella cintura asteroidale che si trova oltre l’orbita di Nettuno, residuo del processo di formazione ed evoluzione del Sistema solare esterno. L’aggettivo ‘classica’ indica i corpi le cui orbite sono cambiate poco da quando si sono formati, circa 5 miliardi di anni fa.

Il flyby della New Horizons con 2014 Mu69 è avvenuto con successo il 1° gennaio 2019 a una distanza dalla superficie di soli 3500 km. Da allora la sonda sta trasmettendo i dati raccolti alle stazioni a terra. Qualche giorno fa, il 12 novembre 2019, in una cerimonia che si è tenuta nel quartier generale della Nasa vicino a Washington D.C., il team della missione New Horizons ha annunciato di avere dato un nome ufficiale a 2014 Mu69: non “Ultima Thule” come ci si poteva aspettare ma “Arrokoth“, una parola dei nativi americani della tribù dei Powhatan/Algonchini che significa ‘cielo’. Un tributo alle terre da cui è stato scoperto materialmente 2014 Mu69. Naturalmente, in precedenza il team di New Horizons aveva proposto il nome all’International Astronomical Union (Iau), che ha avvallato il suggerimento.

Immagine composita di Arrokoth, ottenuta dai dati raccolti dalla sonda New Horizons, che mostra sia il colore, sia i dettagli superficiali in alta risoluzione. Crediti: Nasa/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/ Southwest Research Institute/Roman Tkachenko

Scelta del nome a parte, i dati trasmessi a terra dalla New Horizons hanno mostrato che 2014 Mu69 – nonostante la grande distanza dal Sole e le sue piccole dimensioni non favoriscano certo l’evoluzione geologica – è un corpo peculiare, tanto da meritare la copertina di Science. Arrokoth non è un oggetto singolo ma un sistema binario a contatto, ossia le due componenti sono in orbita attorno al comune centro di massa e si toccano fra di loro: una forma simile a quella del nucleo della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. Inoltre, sulla sua superficie i crateri da impatto sono molto pochi, mentre sono abbondanti su tutti i corpi solidi del Sistema solare. Si tratta del corpo più primordiale che sia mai stato esplorato. La lunghezza complessiva del sistema binario è di 35 km: il lobo maggiore (soprannominato “Ultima“) è piuttosto piatto (assomiglia un po’ a una frittella), ed è connesso tramite un “collo” a un lobo più piccolo e sferico (soprannominato “Thule“). Ultima appare composto da almeno otto corpi più piccoli fusi insieme, con un diametro medio di circa 5 km.

Apparentemente i due lobi un tempo orbitavano l’uno attorno all’altro, come molti sistemi binari nella fascia di Kuiper, finché è accaduto qualcosa che li ha riuniti in una “delicata” fusione. Non è chiaro quale possa essere stata la causa della fusione, forse fra i dati che la New Horizons sta inviando a terra c’è la risposta (la trasmissione terminerà a fine 2020). A parte la struttura inusuale, Arrokoth non si distingue particolarmente per colore e composizione: i dati della New Horizons hanno rivelato che assomiglia a molti altri oggetti che si trovano nella fascia di Kuiper, anche se è molto rosso – più rosso persino di Plutone.

Visto da Arrokoth, il Sole è molto debole rispetto a come appare qua sulla Terra, anche se è pur sempre visibile come una fulgida stella di magnitudine -18,5: circa 263 volte più brillante della Luna piena.  Protetti da una tuta spaziale, potremmo vedere e calpestare il suolo di Arrokoth, pur con la bassa gravità che si ritrova. Ma il meglio si avrebbe spostandosi nell’emisfero in ombra, lontano dal pallido Sole: allora potremmo vedere la Via Lattea in tutto il suo splendore, libera dalla polvere interplanetaria di cui è permeato il Sistema solare interno. Quello di Arrokoth è un confine che invita ad andare oltre.


Navigazione articolo

Fuga dal “cuore nero” della Via Lattea
Il mistero dell’ossigeno marziano