I satelliti monitorano come il “verde” sul nostro pianeta cambia con le stagioni terrestri. Gli scienziati dell’Ucr stanno studiando i cambiamenti che accompagnano la composizione atmosferica come marker per la vita su pianeti lontani. Crediti: Nasa

Sono dozzine i pianeti potenzialmente abitabili scoperti al di fuori del nostro sistema solare, e molti altri sono in attesa di essere rivelati. A questo punto, la domanda che ci poniamo tutti è: c’è qualcuno, o qualcosa, su questi pianeti?

La caccia alla vita in questi luoghi lontani, che è impossibile visitare di persona, inizierà con la ricerca di prodotti biologici nelle loro atmosfere. Queste impronte digitali atmosferiche della vita, chiamate firme biologiche (biosignature), potranno essere rilevate utilizzando telescopi di nuova generazione che misurano la composizione dei gas che circondano i pianeti lontani anni luce. Certo, non sarà semplice, perché i risultati della ricerca di una firma biologica, basati su singole misurazioni dei gas atmosferici, potrebbero alla fine essere fuorvianti. A integrazione e complemento di questi indicatori, grazie ai finanziamenti dell’Astrobiology Institute della Nasa, gli scienziati dellUniversità della California – Riverside (Ucr), in particolare del Riverside’s Alternative Earths Astrobiology Center, stanno sviluppando il primo quadro quantitativo delle firme biologiche dinamiche basato sui cambiamenti stagionali nell’atmosfera terrestre. La loro ricerca è descritta in un articolo pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, la cui autrice principale è Stephanie Olson, del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ucr.

Mentre la Terra orbita attorno al Sole, il suo asse di rotazione inclinato fa si che le regioni sulla Terra ricevano la luce del Sole in modo diverso a seconda dei diversi periodi dell’anno. I segni più visibili di questo fenomeno sono le stagioni e le ore di luce durante un giorno, ma in realtà anche la composizione atmosferica risente della diversa illuminazione stagionale. Ad esempio, nell’emisfero settentrionale, che contiene la maggior parte della vegetazione del mondo, la crescita delle piante in estate si traduce in livelli notevolmente più bassi di anidride carbonica nell’atmosfera. Il contrario si verifica per l’ossigeno.

«La stagionalità atmosferica è una firma biologica promettente perché sulla Terra risulta essere modulata biologicamente e probabilmente accade lo stesso su altri mondi abitati», ha detto la Olson. «Inferire che su un pianeta sia presente la vita sulla base della stagionalità atmosferica non richiede una conoscenza dettagliata della biochimica aliena perché la variazione deriva dalla risposta biologica ai cambiamenti stagionali nell’ambiente, piuttosto che essere una conseguenza di un’attività biologica specifica che potrebbe essere unica per la Terra». Inoltre i possibili obiettivi su cui indagare potrebbero aumentare, poiché anche orbite estremamente ellittiche (piuttosto che l’inclinazione dell’asse di rotazione del pianeta) potrebbero indurre variazioni stagionali sui pianeti extrasolari.

Nell’articolo i ricercatori hanno identificato le opportunità e le trappole ​​associate alla caratterizzazione della formazione e della distruzione stagionale di ossigeno, anidride carbonica, metano e il loro rilevamento utilizzando la spettroscopia. Hanno anche modellato le fluttuazioni dell’ossigeno atmosferico su un pianeta con un basso tenore di ossigeno, come si presume fosse la Terra miliardi di anni fa. Hanno scoperto che l’ozono, che viene prodotto nell’atmosfera attraverso reazioni che coinvolgono l’ossigeno gassoso prodotto dalla vita, sarebbe un marker più facilmente misurabile, per via della sua variabilità stagionale, rispetto all’ossigeno stesso, su pianeti debolmente ossigenati.

«È veramente importante modellare accuratamente questo tipo di scenari ora, in modo che i telescopi spaziali e terrestri del futuro possano essere progettati per identificare le firme biologiche più promettenti», ha dichiarato Edward Schwieterman, ricercatore postdoc della Nasa presso l’Ucr. «Nel caso dell’ozono, avremmo bisogno di telescopi che includano la capacità di fare misurazioni nell’ultravioletto, per poterlo rilevare facilmente».

Schwieterman sostiene che la sfida nella ricerca della vita è l’ambiguità dei dati raccolti da così lontano. I falsi positivi, i processi non biologici mascherati come vitali, così come i falsi negativi, la vita su un pianeta che produce poche o nessuna firma biologica, sono entrambi preoccupanti. «Sia l’ossigeno che il metano sono promettenti firme biologiche, ma ci sono modi in cui possono essere prodotti senza la presenza della vita», ha detto Schwieterman.

Sicuramente, come sostenuto dalla Olson, osservare i cambiamenti stagionali del contenuto di ossigeno o metano sarebbe più istruttivo. «Un modo potenzialmente potente per valutare l’abitabilità degli esopianeti potrebbe essere osservare le loro atmosfere lungo le orbite per vedere si riescono a rilevare cambiamenti in questi gas nel corso di un anno», ha detto. «In alcune circostanze, tali cambiamenti sarebbero difficili da spiegare senza assumere la presenza di vita nel esopianeta e potrebbero persino permetterci di progredire verso la caratterizzazione, oltre al  semplice riconoscimento, della vita sul pianeta stesso».

Timothy Lyons, professore di biogeochimica del Dipartimento di scienze della Terra dell’Ucr e direttore dell’Alternative Earths Astrobiology Center, è convinto che questo lavoro rappresenti un avanzamento nella ricerca della vita su pianeti molto distanti. «Siamo particolarmente entusiasti della prospettiva di caratterizzare le fluttuazioni dell’ossigeno ai bassi livelli che ci aspetteremmo di trovare in una Terra primordiale», ha detto Lyons. «Le variazioni stagionali osservate per l’ozono sarebbero più facilmente rilevabili su un pianeta simile alla Terra miliardi di anni fa, quando la maggior parte della vita era ancora microscopica e oceanica».

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