Sulle tracce di un “nuovo tipo” di elettroni

Perché alcuni materiali emettono elettroni con un’energia molto specifica? Come quelli a 3.7 elettronvolt osservati fuoriuscire dalla grafite? Un team di fisici del Politecnico di Vienna ha ora trovato una risposta. Media Inaf ha intervistato una delle scienziate che hanno firmato il risultato, Alessandra Bellissimo

Il team della Tu Wien che ha condotto l’esperimento. Da sinistra: Florian Libisch, Philipp Ziegler, Wolfgang Werner e Alessandra Bellissimo. Crediti: Tu Wien

Escono dagli atomi di carbonio della grafite tutti con lo stesso esatto livello di energia: 3.7 elettronvolt. È un fenomeno noto da mezzo secolo, ma fino a oggi senza spiegazione. Quale processo può mai esserci all’origine di questo strano comportamento? È ora riuscito a chiarire l’enigma un team dell’Istituto di fisica applicata del Politecnico di Vienna guidato da Wolfgang Werner, primo autore di uno studio pubblicato questo mese su Physical Review Letters che vede fra i coautori anche Alessandra Bellissimo.

Nata a Napoli, all’eta di 17 anni Bellissimo si è trasferita a Vienna, dove ha studiato fisica al Politecnico terminando gli studi proprio sotto la supervisione del professor Werner. In seguito, grazie a una borsa di studio finanziata dalla Comunità Europea nell’ambito di un programma Marie-Sklodowska-Curie Action di ricerca e training internazionale – il programma Simdalee2 – ha potuto conseguire il dottorato all’Università di Roma Tre, sotto la supervisione del professor Giovanni Stefani, anch’egli fra i coautori dell’articolo. E ora, dopo una prima esperienza da postdoc all’Ethz, il Politecnico di Zurigo, Bellissimo è da poco ritornata alla Tu Wien, la Technische Universität di Vienna, dove l’abbiamo raggiunta per capire meglio questo strano fenomeno e i risultati dell’esperimento pubblicati su Prl.

Dottoressa Bellissimo, partiamo da questi particolari elettroni: avete già dato loro un nome? 

«No, non li abbiamo etichettati, dato che gli elettroni sono di per sé indistinguibili. Forse, più in là penseremo a dargli un nome proprio, se sarà opportuno».

Cosa li contraddistingue?

«Questi elettroni hanno tutti la stessa energia e ciò è dovuto al fatto che vengono emessi dalla superficie sempre dallo stesso livello (di preferenza rispetto ad altri). Esistono fenomeni che danno luogo a elettroni “illustri” conosciuti come fotoelettroni e Auger: l’emissione di questi particolari elettroni è caratterizzata da processi che coinvolgono sempre degli specifici livelli energetici occupati, quindi prima della loro emissione. Nel nostro caso, invece, è proprio questo canale di emissione preferenziale – con questa energia da 3.7eV – che determina il loro particolare carattere. Quindi, è lo stato finale, in altre parole la banda elettronica attraverso la quale essi riescono a fuoriuscire che ne determina l’energia e non lo stato iniziale dal quale essi provengono sotto il livello di vuoto.

C’è qualcosa che li aiuta a fuoriuscire? E da cosa fuoriescono, esattamente?

«Nel nostro esperimento, per provocare la fuoriuscita di elettroni in generale, bombardiamo il campione con un fascio di elettroni primari. La collisione di un elettrone entrante nel solido – tra le altre cose – dà luogo a una risposta collettiva degli elettroni all’interno della superficie: un cosiddetto plasmone. Questo lo si può immaginare come un movimento oscillatorio di elettroni e buche (cariche positive) che danno luogo a un’onda di densità di cariche che si propagano nella superficie. I plasmoni sono noti e si osservano in vari materiali, ma nel caso specifico della grafite crediamo che questa interazione collettiva provochi una rottura della simmetria del cristallo bidimensionale, dando luogo a un livello energetico ibrido. Questo evento di ibridizzazione modifica le bande elettroniche, andando a creare questo canale di emissione preferenziale (con un’energia esatta di 3.7eV) al di sopra del livello di vuoto che esibisce entrambe le proprietà di ciascuna banda elettronica. Uno dei due stati elettronici ha come caratteristica un’alta densità di stati ma mobiltà zero. Un elettrone proveniente da uno stato occupato popola “volentieri” questa banda, ma data la mobilità ridotta, esso non dovrebbe riuscire a essere emesso e raggiungere l’analizzatore: in altre parole, dovrebbe rimanere bloccato in quel livello energetico».

E invece?

«Invece questo livello energetico incrocia una banda di elettroni con alta dispersione, favorendone il trasporto e la loro trasmissione. L’evento di ibridizzazione fa sì che il nuovo livello energetico (ibrido) abbia entrambe le proprietà di queste bande: alta densità e alta trasmissione, consentendo agli elettroni che raggiungono quel livello di venire emessi e quindi raggiungere l’analizzatore, dove vengono collezionati dando luogo a un picco di alta intensità nei nostri spettri. Questo picco ad alta intensità è stato osservato già da molti colleghi in vari altri esperimenti da circa cinquant’anni, ma il processo dietro all’emissione di questi elettroni a bassa energia non era stato ancora completamente chiarito».

Per l’esperimento avete usato la grafite: come mai? 

«La grafite è un materiale con una struttura notoriamente molto particolare. Infatti essa è sì un cristallo tridimensionale, ma con una struttura lamellare, di fogli di grafene (quindi puramente bidimensionali) stratificati l’uno sull’altro fino a raggiungenge, appunto, la tridimensionalità. Per questa sua composizione la grafite è anche nota come layered material (materiale a struttura lamellare), esponendo caratteristiche elettroniche ottiche e termiche diverse lungo la superficie e lungo l’asse cristallino perpendicolare alla superficie».

Alessandra Bellissimo, ricercatrice alla Tu Wien e prima autrice dello studio sugli elettroni a 3.7 eV pubblicato su Physical Review Letters

È fra questi strati che gli elettroni vengono “riflessi” fino a che non ne attraversano uno? Come funziona?

«Sì, ma la riflessione avanti e indietro fra gli strati di grafene avverrebbe sempre in maniera statica dando luogo a un’onda stazionaria, senza possibilità di fuoriuscita, se solamente la prima delle due bande esistesse – quella con alta densità, ma poca mobilità. Come esempio tratto dalla vita di tutti i giorni, si potrebbe immaginare questa onda stazionaria come il salto alla corda tanto amato dai bambini. Si immagini due bambini che mantengono ciascuno un lato della corda e la lasciano oscillare in maniera tale da permettere a una loro compagna di saltellare all’interno. Finché i bambini tengono entrambi i lati della corda, essa assume una forma stabile e simmetrica (con ampiezza massima al centro) all’interno della quale la loro amichetta appunto saltella. Con questa immagine nella nostra mente, si potrebbe paragonare l’evento di rottura di simmetria – e quindi dell’ibridizzazione con la banda ad alta dispersione – all’evento in cui uno dei due bambini improvvisamente molla uno dei due lati della corda. Quello che osserveremo – a parte che la loro compagna smetterà di saltellare, forse delusa o forse anche stanca – è che l’onda stazionaria svanisce propagandosi verso il lato della corda che è stato mollato. È a questo punto che l’elettrone, che altrimenti continuerebbe a essere riflesso avanti e indietro tra gli strati (nel nostro immaginario, le mani dei bambini che mantenevano la corda), riesce a fuoriuscire e a venir raccolto dal nostro rivelatore».

Ricorda un po’ l’effetto tunnel. Non c’entra nulla?

«Beh, molto alla larga… Il fenomeno di tunnelling avviene quando un elettrone riesce a superare una barriera di potenziale molto alta, creata appunto dal vuoto (vacuum) tra il suo punto di origine e di arrivo. Nel nostro caso, non abbiamo una tale barriera di un potenziale così alta ma una barriera decisamente più bassa, che però può dare luogo al fenomeno di riflessione che si viene a creare tra gli strati, fintanto che il trasporto dell’elettrone al di fuori del solido non venga garantito dall’intervento della rottura di simmetria».

Ed è solo dalla grafite che gli elettroni possono uscire in questo modo, o anche da altre sostanze? 

«Al momento abbiamo potuto osservare questo fenomeno solamente nella grafite. La sua origine è in effetti dovuta all’esistenza di queste due specifiche bande elettroniche che si vengono a creare quando tanti strati di grafene vengono sovrapposti l’uno sull’altro, quindi quando il materiale assume una vera e propria struttura cristallina estendendosi verso la terza dimensione. Esiste però tutta una classe di materiali – i cosidetti “Van Der Waals materials” – che al giorno d’oggi sono di grande interesse per le loro proprietà e caratteristiche molto simili a quelle della grafite. Quindi riteniamo che tale processo potrebbe avvenire anche in questi materiali. Penso al nitruro di boro (BN), per esempio, con una struttura reticolare praticamente identica. O ancora tanti altri materiali lamellari (i cosiddetti multi-layered o sandwich materials) e isolatori topologici creati e sfruttati in svariate applicazioni e tecnologie diverse per le loro proprietà conduttive o isolanti. Proprio per approfondire e cercare di trovare una risposta alla questa domanda abbiamo intenzione di studiare il meccanismo di emissione di elettroni anche da questi tipi di superfici, per capire se le nostre osservazioni si possano estendere a tutte queste tipologie di composti. Se così fosse, allora sì che avrebbe senso dare un nome proprio a questo tipo di elettroni emessi».

Materiale a parte, è un fenomeno che avviene solo in laboratorio o anche in natura?

«Beh sì, mi azzarderei a dire che tale processo avviene sicuramente anche in natura, solo che in quel caso non ce ne accorgiamo, dato che non rileviamo questi elettroni nella nostra vita di tutti i giorni. Come dicevo prima, per poter osservare l’emissione degli elettroni a 3.7 eV abbiamo irradiato il nostro campione con un fascio di elettroni primario. Ma è anche ben noto– per essere precisi, dal 1905, per merito di Einstein – che l’emissione di elettroni da solidi può essere anche provocata dall’impatto di fotoni, ovvero di luce, alla quale siamo constantemente sottoposti. I fotoni provenienti dal cosmo a varie energie – per dare un esempio preciso, i raggi ultravioletti – hanno energia a sufficienza per indurre tale emissione di elettroni da una superficie di grafite, ma per l’appunto, come dicevo prima, noi non ce ne accorgiamo nella vita di tutti i giorni».

È un risultato che potrebbe avere qualche applicazione pratica, questo vostro?

«Pensiamo di sì. Il nostro gut-feeling ce lo suggerisce, anche se è difficile poter identificare già da ora tutte le sue potenzialità. Una possible applicazione alla quale abbiamo già discusso con il primo autore dello studio, il professor Wolfgang S.M. Werner, sarebbe quella di sfruttare questo processo di emissione elettronica – dove gli elettroni hanno per l’appunto un’energia bassa e ben definita – per creare un nuovo tipo di sorgente di elettroni ad alta definizione con dimensioni ridotte. Ad esempio, se l’emittore diventa un nanotubo di carbonio. Inoltre, se dai prossimi esperimenti dovesse risultare che questo meccanismo non è solamente intrinseco alla grafite, ma anche visibile in altri materiali lamellari o topologicamente interessanti, allora sì che ci si potrà sbizzarrire».


Per saperne di più:

Leggi l’articolo originale su MEDIA INAF

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