Bagliori dal passato: storia di Ck Vul va riscritta

Utilizzando lo strumento Gnirs di Gemini North, un team di astronomi ha scoperto che l’evento Ck Vulpeculae, osservato per la prima volta nel 1670 e classificato come una nova, di quanto si pensasse in precedenza. Ciò implica che l’esplosione fu molto più energetica di quanto stimato, collocandola in una classe di oggetti troppo luminosi per essere delle nove ma troppo deboli per essere delle supernove

L’enigmatica nebulosa Ck Vulpeculae. Crediti: International Gemini Observatory / NoirLab/Nsf/Aura

Ck Vulpeculae (Ck Vul) torna a far parlare di sé: secondo nuove osservazioni effettuate dai telescopi dell’Osservatorio Gemini North, l’enigmatico oggetto astronomico che incuriosisce da secoli gli astronomi potrebbe trovarsi molto più lontano di quanto finora stimato, e all’origine della sua luminosità potrebbe esserci un gas espulso a velocità molto più elevate di quanto ipotizzato in precedenza.

Nel giugno del 1670 il monaco francese Anthelme Voituret osservò una stella, mai osservata prima, prendere vita e brillare nella costellazione della Volpetta. Nel corso dei mesi successivi, la “nuova stella” venne monitorata dagli astronomi del tempo, che la videro diventare brillante quasi quanto la Stella polare. Fino a che sparì dopo circa un anno dalla prima osservazione. La stella – poi chiamata apunto Ck Vulpeculae – venne a lungo considerata il primo esempio documentato di una nova: un fugace evento astronomico derivante dall’interazione, in un sistema binario, fra due stelle molto vicine fra loro, una delle quali è una nana bianca, ovvero il residuo di una stella simile al Sole. 

Tuttavia, una serie di risultati più recenti hanno messo in dubbio questa classificazione: già nel 2015 era stato suggerito che l’apparizione di Ck Vulpeculae nel 1670 fosse il risultato della collisione catastrofica di due stelle normaline avevamo scritto all’epoca anche su Media Inaf. Poco più di tre anni dopo, gli stessi astronomi trovarono tracce di un isotopo dell’alluminio radioattivo (l’alluminio-26) nelle immediate vicinanze del sito dell’esplosione del 1670, deducendone che una delle stelle fosse in realtà una supergigante rossa. Sempre nel 2018, a complicare ulteriormente il quadro, lo studio di un altro gruppo di astronomi ha suggerito che quell’improvviso schiarimento nel cielo del 1670 fosse in realtà il risultato della fusione tra una nana bruna – considerata una stella “mancata”, troppo piccola per brillare sfruttando la fusione termonucleare – e una nana bianca.

Oggi, ad aggiungere ulteriore mistero all’origine di Ck Vulpeculae, arrivano le nuove osservazioni del team guidato da Dipankar Banerjee del Physical Research Laboratory Ahmedabad in India. I ricercatori prevedevano inizialmente di utilizzare lo strumento Gemini Near-Infrared Spectrograph ( Gnirs) installato sul Gemini North a Maunakea, nelle Hawaii, per confermare il rilevamento di alluminio radioattivo nel cuore di Ck Vulpeculae. Tuttavia si sono presto resi conto che rilevarne la presenza in infrarosso in una regione così circoscritta sarebbe stato molto più difficile del previsto. Si sono così trovati costretti a improvvisare, osservando a infrarossi l’intera Ck Vulpeculae, compresi i due sbuffi ai bordi più esterni.

Questa vista ad ampio campo mostra il cielo intorno alla posizione della storica stella esplosiva Ck Vulpeculae. I resti della nova sono visibili solo molto debolmente al centro dell’immagine. Crediti: Eso / Digitalized Sky Survey 2

«La chiave della nostra scoperta sono state le misurazioni Gnirs ottenute ai bordi esterni della nebulosa», spiega Tom Geballe del Gemini Observatory, secondo autore dello studio. «La firma chimica degli atomi di ferro spostati verso il rosso e verso il blu mostra che la nebulosa si sta espandendo molto più rapidamente di quanto suggerivano le osservazioni precedenti».

«Non sospettavamo di trovare una cosa simile», aggiunge Banerjee. «È stato emozionante vedere il gas che viaggiava a velocità inaspettatamente alta, a circa sette milioni di km/h. Da cui l’idea che  la storia di Ck Vulpeculae fosse diversa da quanto era stato teorizzato».

Misurando sia la velocità di espansione della nebulosa sia la velocità con cui i residui più esterni si erano spostati negli ultimi dieci anni, e tenendo conto dell’inclinazione della nebulosa nel cielo notturno, il team ha calcolato che Ck Vulpeculae si trova a circa diecimila anni luce di distanza dal Sole, dunque circa cinque volte più lontano di quanto si pensasse in precedenza. Ciò implica che l’esplosione del 1670 fu molto più intensa, rilasciando circa venticinque volte più energia di quanto pecedentemente stimato.

In definitiva, qualunque sia stato l’evento che ha causato la detonazione improvvisa di Ck Vulpeculae nel 1670, fu molto più violento di una semplice nova.

«In termini di energia rilasciata, la nostra scoperta colloca Ck Vulpeculae all’incirca a metà strada tra una nova e una supernova», dice Nye Evans della Keele University, nel Regno Unito. «È uno dei pochissimi oggetti del genere nella Via Lattea e la causa – o le cause – delle esplosioni di questa classe intermedia di oggetti rimangono sconosciute. Ora probabilmente tutti sappiamo cosa non è Ck Vulpeculae, ma nessuno sa cosa sia davvero».

L’aspetto visivo della nebulosa Ck Vulpeculae e le alte velocità osservate dal team potrebbero aiutare gli astronomi a riconoscere i resti di eventi simili – nella Via Lattea o in altre galassie – che si siano verificati in passato.

«È difficile in questa fase offrire una spiegazione definitiva o convincente per l’origine dell’esplosione del 1670 di Ck Vulpeculae», conclude Banerjee, «A 350 anni dalla scoperta di Voituret, la natura dell’esplosione rimane ancora un mistero».

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