Osiris-Rex, i cinque secondi che fecero la storia

La manovra “touch and go” di Osiris-Rex sull’asteroide Bennu – mirata alla raccolta di almeno 60 grammi di polvere superficiale per il successivo rientro a Terra – si è conclusa con successo. Obiettivo centrato per questa missione epocale, la prima dopo le missioni Apollo a portare sulla Terra un quantitativo così cospicuo di polvere extraterrestre e – diversamente dalle missioni Hayabusa, ad esempio – a saperne misurare la massa raccolta in situ

Serie di immagini – catturate nell’arco di 10 minuti durante la prima prova dell’evento di raccolta campioni della missione Osiris-Rex – che mostra il campo visivo dello strumento SamCam mentre la navicella si avvicina e si allontana dalla superficie dell’asteroide Bennu. Il braccio di campionamento della navicella spaziale (Tagsam) è visibile al centro dell’immagine. Crediti: Nasa/Goddard/University of Arizona

Era da poco passata la mezzanotte in Italia – le sei di sera alla Nasa, un orario indefinito fuori dall’atmosfera, nel silenzioso e oscuro spazio interplanetario a più di 331 milioni di km dalla Terra – quando la sonda Osiris-Rex ha realizzato l’impresa mai compiuta prima dalla Nasa: raccogliere frammenti d’asteroide da riportare sulla Terra. La manovra touch and go – nome in codice Tag, letteralmente “tocca e vai”, procedura di raccolta del campione della durata di soli 5 secondi, per questo non si può parlare di un vero e proprio atterraggio – è avvenuta con successo, dopo un avvicinamento durato giorni e un rischioso atterraggio nel cratere Nightingale – “usignolo”, il più sicuro e scientificamente interessante fra i piccoli e sassosi crateri di Bennu.

Bennu, è questo il nome dell’asteroide Neo carbonaceo primordiale di tipo B obiettivo della missione della Nasa. Prima d’ora – prima di Osiris-Rex – un oggetto simile non era mai stato osservato nel dettaglio. Si ritiene che Bennu sia un “avanzo” sopravvissuto di tutti quegli asteroidi che hanno bombardato la Terra durante la sua formazione – asteroidi che, assieme alle comete, sono stati dei veri e propri mattoni primordiali che hanno portato acqua e composti organici sulla Terra durante la sua formazione.

Una missione epocale quella di Osiris-Rex, partita nel lontano 8 settembre 2016 e in orbita attorno all’asteroide di 500 metri di diametro dal 3 dicembre 2018. Un obiettivo tanto ambizioso quanto rapido: prelevare da un minimo di 60 grammi a un massimo di quasi due chili di regolite da riportare qui sulla Terra avendo a disposizione circa 5 secondi di contatto con il suolo dell’asteroide, e dovendo gestire una serie di complesse e delicatissime operazioni in totale autonomia. «Un segnale impiega 18 minuti e 42 secondi per coprire la distanza che separa la sonda dalla Terra, un tempo troppo lungo per poter manovrare gli strumenti in tempo reale», osserva infatti John Robert Brucato, astrofisico dell’Inaf di Firenze, esperto di esobiologia e Sample and Contamination Control Scientist della missione.

Autonomia garantita da “sensi” d’eccezione. Anzitutto la vista, grazie a un “occhio” di nome SamCam: una camera in grado di scattare immagini precise del punto di raccolta – da confrontare con le mappe superficiali per riconoscere esattamente il campione raccolto – e del meccanismo di campionamento a procedura avvenuta, poiché le due altre camere a bordo della navicella sono fuori fuoco a queste distanze dalla superficie.

Questa vista del sito primario di campionamento Nightingale sull’asteroide Bennu è un mosaico di 345 immagini raccolte dalla navicella spaziale Osiris-Rex della Nasa il 3 marzo. L’immagine è sovrapposta a una rappresentazione della navicella spaziale per illustrare il punto di atterraggio. Crediti: Nasa / Goddard / University of Arizona
Questa vista del sito primario di campionamento Nightingale sull’asteroide Bennu è un mosaico di 345 immagini raccolte dalla navicella spaziale Osiris-Rex della Nasa il 3 marzo. L’immagine è sovrapposta a una rappresentazione della navicella spaziale per illustrare il punto di atterraggio. Crediti: Nasa / Goddard / University of Arizona

Durante la procedura di campionamento, della durata complessiva di quattro ore e mezza, la navicella ha effettuato tre manovre separate per raggiungere la superficie dell’asteroide. La sequenza di discesa è iniziata con l’accensione dei propulsori per consentire a Osiris-Rex di abbandonare l’orbita di sicurezza attorno a Bennu – a un’altezza di circa 770 metri dalla sua superficie. Dopo aver viaggiato quattro ore su questa traiettoria discendente, la navicella spaziale ha eseguito la manovra “Checkpoint” a un’altitudine approssimativa di 125 m sopra il sito di raccolta Nightingale, per regolare la posizione e la velocità e scendere ripidamente – ma seguendo una traiettoria sicura – verso la superficie. Circa 11 minuti dopo, quando in Italia scoccava la mezzanotte, la navicella spaziale ha effettuato la manovra di “Matchpoint” a un’altitudine approssimativa di 54 m: è questa l’ultima volta che Osiris-Rex ha potuto accendere i razzi per correggere la sua traiettoria. Da questo momento in poi la navicella ha proseguito in caduta libera verso la superficie con una velocità verticale di 10 cm/s fino ad avvenuto contatto con il sito di raccolta.

«In questo modo si evita di contaminare la superficie con i gas di scarico del propellente usato per le manovre», spiega Brucato. «Una volta lasciato Bennu, una piccola camera osserva l’interno del sistema di raccolta (Tagsam) per verificare la presenza di materiale. Inoltre, il braccio che regge il Tagsam viene prima esteso per la sua intera lunghezza e poi piegato.
Nel giro di un paio di giorni i sensori di bordo misureranno l’inerzia di Tagsam valutando così la massa del campione raccolto. Se la quantità di campione raccolto fosse inferiore a 60 grammi la Nasa deciderà – insieme al team scientifico – se fare un secondo tentativo di raccolta».

Questo secondo Tag avverrebbe non prima di gennaio 2021 su un secondo sito di atterraggio di nome Osprey. È importante che si verifichi in un sito diverso dal primo, perché essendo l’asteroide costituito da materiale incoerente, durante il primo tentativo di raccolta la morfologia è stata modificata profondamente perdendo i riferimenti superficiali a lungo studiati e utilizzati per poter atterrare in sicurezza. La scelta dei siti di atterraggio, poi, è stata essa stessa una sfida inaspettata. Il campo da calcio sabbioso che si pensava di trovare su Bennu si è rivelato, all’occhio più vicino e attento delle camere di Osiris-Rex, un insidioso ed eterogeneo alternarsi di piccoli crateri e massi di dimensioni variabili – luogo del tutto inospitale per una raccolta campioni come quella progettata.

«Le insidie nell’utilizzo di uno strumento come Tagsam per la raccolta di materiale dall’asteroide sono diverse e riguardano la conformazione dell’asteroide da un lato, la metodologia impiegata dall’altro», dice Maurizio Pajola, ricercatore dell’Inaf di Padova attivamente coinvolto nella procedura di selezione del sito di atterraggio di Osiris-Rex e nel lavoro di conteggio e catalogazione dei massi per taglia. La testa cilindrica di Tagsam – con il suo diametro esterno totale di 40 cm, interno di 25 cm – è pensata infatti per aderire completamente al suolo. «La riuscita del campionamento – anche in termini quantitativi – dipende dall’efficienza con la quale l’azoto sotto pressione sparato verso il suolo agita, solleva e cattura il materiale superficiale. Se la testa cilindrica di questa aspirapolvere al contrario si posa su una superficie piana e polverosa, l’efficienza del sistema è massima e l’azoto della bombola viene interamente impiegato nel creare turbolenza e indirizzare il materiale verso il collettore. Diversamente, parte del gas viene disperso sollevando polvere circostante».

Mappa del sito Nightingale che indica il numero e la posizione dei massi presenti nella regione. I massi di 10-21 cm sono contrassegnati in giallo, quelli più grandi di 21 cm in rosso. Le rocce e i detriti ingeriti dalla testa del Meccanismo di campionamento Tagsam non devono essere larghi più di 2 cm.
Crediti: NASA/Goddard/University of Arizona

Una seconda criticità, spiega inoltre Pajola, è costituita dalla dimensione dei massi raccolti: Tagsam è progettato per accogliere materiale di diametro inferiore a due centimetri. «È quindi fondamentale atterrare in un sito in cui, statisticamente, la composizione superficiale è polverosa e priva di sassi con dimensioni superiori a questo valore limite. Purtroppo però, il campionamento in taglia dei massi ha rivelato che la superficie è costellata di materiale di dimensioni superiori – che intaserebbero e bloccherebbero l’ingresso al sito di raccolta.»

Gli scienziati, comunque – previdenti nonostante gli imprevisti – hanno pensato a un sistema per raccogliere un po’ di materiale anche con il solo contatto superficiale: dei dischetti di velcro metallico che si sporcano della polvere superficiale di Bennu intrappolandola.

«Il sito in cui è avvenuto il prelievo, il cratere Nightingale, si trova vicino al polo nord, all’interno di un cratere di circa 20m di diametro e sembra composto da diversi materiali tra i quali minerali ricchi di carbonio», conclude Elisabetta Dotto, ricercatrice dell’inaf di Roma, membro anch’ella del team scientifico di Osiris-Rex. L’eterogeneità superficiale di Bennu, sottolinea infatti la scienziata, non è solo una complicazione ingegneristica, ma costituisce una ricchezza e un potenziale scientifico unico – frutto della storia passata dell’asteroide e della sua composizione primordiale. «Vista la sua latitudine, la temperatura è piuttosto bassa e l’escursione termica è ridotta. Per questa ragione – e per il fatto che il cratere nel quale si trova è molto probabilmente piuttosto recente – si ritiene che il materiale organico – di interesse astrobiologico – in esso presente sia poco alterato. Il prelievo e il ritorno a Terra di un campione di Bennu è senza dubbio un fatto epocale, che aprirà un nuovo capitolo nella nostra conoscenza del materiale primitivo del Sistema solare e nella comprensione del ruolo che esso può aver svolto nell’innesco della vita sulla Terra».

Guarda l’intervista di Valentina Guglielmo a Giovanni Poggiali dell’Inaf Firenze, membro del team Osiris-Rex:

Leggi l’articolo originale su MEDIA INAF

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