Grazie all’analisi di una serie di dati d’archivio risalenti ai primi mesi del 2009 un team guidato e composto da ricercatori dell’Inaf, con colleghi dello Iuss di Pavia e del Gssi dell’Aquila, ha svelato lampi radio e nei raggi X quasi simultanei provenienti dalla magnetar 1E 1547.0–5408, rafforzando dunque l’associazione tra queste pulsar e i Fast Radio Burst
Il 28 aprile di quest’anno abbiamo scoperto per la prima volta un Fast Radio Burst (Frb) di origine galattica. L’aspetto più interessante della scoperta, tuttavia, è un altro: la sorgente era associabile a un oggetto ben noto, una magnetar, ovvero una stella di neutroni con un campo magnetico particolarmente intenso. L’osservazione simultanea di lampi nella banda radio, nei raggi X e gamma ha aperto nuovi scenari sulla natura dei Frb, fino ad allora piuttosto misteriosa. Grazie a uno studio recente guidato da GianLuca Israel dell’Inaf di Roma, e accettato per la pubblicazione su The Astrophysical Journal, si è riacceso l’interesse sull’associazione tra queste sorgenti.
Analizzando una serie di osservazioni d’archivio ottenute con il radiotelescopio di Parkes e gli osservatori nei raggi X Chandra e Xmm-Newton, i ricercatori hanno osservato una serie di lampi molto ravvicinati nel tempo nei raggi X e nella banda radio da parte della magnetar chiamata 1E 1547.0–5408 durante un suo periodo di intensa attività, avvenuto tra gennaio e febbraio del 2009. Questi lampi X e radio quasi simultanei rinforzano la possibile associazione fra questa magnetar e i Frb, la cui origine è stata a lungo ignota e oggetto di un intenso dibattito scientifico. Per comprendere meglio la portata di questa scoperta abbiamo contattato il primo autore dello studio, GianLuca Israel.
Come vi è venuto in mente di andare a spulciare proprio quelle osservazioni del 2009? Sapevate che poteva esserci qualcosa di interessante?
«In verità quelle osservazioni erano parte di una ben più ampia campagna osservativa multibanda, dal radio al gamma, per monitorare e studiare l’intenso outburst osservato a gennaio 2009 in 1E 1547.0–5408, di cui qualche anno prima era stata scoperta emissione pulsata nella banda radio (ad un periodo di 2 secondi). Nei dati X, per studiare l’evoluzione del segnale vengono inizialmente eliminati i “lampi” (burst, la tipica emissione esplosiva delle magnetar), che altrimenti influenzerebbero i risultati. Questo era stato fatto per i dati di Xmm-Newton mentre, con nostro grande disappunto, nessuna pulsazione era stata rivelata nell’osservazione radio simultanea effettuata a Parkes il 3 febbraio 2009. Tuttavia i colleghi “radiologi” (come li chiamo amichevolmente), tra cui Marta Burgay e Andrea Possenti dell’Inaf di Cagliari, effettuarono anche una ricerca di singoli picchi. Questo alla luce delle allora recenti scoperte relative ai cosiddetti “transienti radio ruotanti” – stelle di neutroni che emettono nel radio solo singoli impulsi separati tra loro da multipli di un tempo scala caratteristico (legato allo spin dell’oggetto). In questo modo sono stati trovati due impulsi molto intensi nei dati Parkes di 1E 1547.0–5408, separati tra loro di circa 4 secondi. In particolare, il primo era talmente intenso che saturò lo strumento per circa 200 ms, una frazione consistente della sua durata. Successivamente, abbiamo notato che il primo impulso radio seguiva di appena 1 secondo un intenso lampo X osservato non solo da Xmm-Newton ma anche da Swift e da Konus-Wind. I due eventi, X e radio, sono troppo vicini per non essere correlati tra loro. Tale fenomenologia era una novità e l’associazione con i lampi radio veloci sarebbe stata molto ardita. A quel tempo, infatti, i pochi Frb noti erano per lo più considerati delle interferenze di origine terrestre e pochi credevano nella loro reale natura astrofisica. Inoltre anche a livello energetico, il burst radio osservato appariva molto più debole dell’unico Frb noto fino ad allora».
Quali sono le principali differenze e similitudini tra questa sorgente e quella osservata ad aprile scorso?
«1E 1547.0–5408 e Sgr 1935+2154 sono due “tipiche” magnetar. Apparentemente non mostrano caratteristiche che le etichettano come casi “speciali”. Entrambe si trovano al centro di un resto di supernova, ma non ci sono indicazioni che le magnetar non in resti di supernova abbiano caratteristiche fisiche diverse (con l’eccezione di Rcw 103, che sembra essere un caso a parte). Entrambe mostrano pulsazioni sia nella banda X sia nel radio, sebbene queste siano state scoperte solo recentemente nel caso di Sgr 1935+2154. Rispetto all’evento osservato ad aprile 2020 da Sgr 1935+2154, c’è una differenza in energia emessa nella banda radio: il burst più brillante di 1E 1547.0-5408 è più debole di qualche migliaio di volte. Altri burst radio più deboli sono stati osservati recentemente da Sgr 1935+2154 e, tra questi, solo uno ha un’intensità paragonabile a quella osservata da 1E 1547.0-5408. L’altra differenza interessante tra i due eventi è l’ordine cronologico con cui X e radio sono stati osservati: il burst radio precede quello X di una manciata di millisecondi nel caso di Sgr 1935+2154, mentre il burst radio segue quello X di 1 secondo in 1E 1547.0-5408. Non è chiaro al momento se questa differenza sia testimonianza di un processo fisico diverso o meno. Solo con un campione più ampio di eventi simili sarà possibile fare degli studi comparativi».
Quali elementi aggiunge questa scoperta alla nostra conoscenza dei Frb?
«Fino a pochi mesi fa la definizione di Frb era quella di lampo radio intenso e di natura sconosciuta proveniente da una galassia relativamente lontana. Tuttavia, eventi come quello osservato ad aprile da Sgr 1935+2154, o come il burst che abbiamo trovato nei dati radio di Parkes di 1E 1547.0-5408, ci stanno forzando a modificare la definizione stessa di Frb. Lo scenario che sta prendendo forma è quello di un continuo di proprietà dei radio burst che sta pian piano riempiendo la regione (in termini di energia emessa) tra i pulsi giganti osservati nelle pulsar radio “ordinarie” e appunto i Frb. È prematuro asserire che tutti i Frb sono associati alle magnetar, tuttavia la fenomenologia dei radio burst osservata fino ad oggi nelle magnetar ci dice che esse possono essere responsabili almeno di una frazione dei lampi radio extra-galattici. Il fatto che i burst radio più brillanti delle magnetar siano intrinsecamente rari suggerisce, inoltre, che anche i Frb che non si ripetono (ovvero la stragrande maggioranza del campione) potrebbero essere associati a magnetar di cui osserviamo solo i rari burst brillanti, a causa della loro grande distanza. Solo osservando per molti anni i Frb noti sarà possibile provare o rigettare l’ipotesi circa la loro natura».
Dal momento che i dati del 2009 erano già a disposizione della comunità scientifica da tempo, cosa vi ha impedito di “collegare i punti” tra loro fino a ora?
«Direi che la scoperta dei burst radio in 1E 1547.0-5408 è arrivata in una fase in cui la reale esistenza dei Frb, in termini di sorgenti astrofisiche, era altamente incerta. Corrispondentemente, l’associazione sarebbe stata molto forzata».
Ci sono altre sorgenti che state sorvegliando o che sono secondo te potenzialmente interessanti per aggiungere altri tasselli al quadro generale?
«Per quanto detto finora, tutte le magnetar note sono potenzialmente sorgenti di Frb galattici e pertanto degne di attenzione. Senz’altro la nuova generazione di rivelatori e osservatori radio con grandi campi di vista – e strumenti come la Croce del Nord, in Italia – potranno fare la differenza sia nella ricerca di nuovi Frb extragalattici sia nella rivelazione di burst radio da magnetar galattiche. Se la connessione con le magnetar è reale mi aspetto che la zona attualmente occupata da questi due eventi (quello trovato da noi in 1E 1547.0-5408 e quello di aprile della Sgr 1935+2154) si popoli con il tempo».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “X-ray and Radio Bursts from the Magnetar 1E1547.0-5408” di G.L. Israel, M. Burgay, N. Rea, P. Esposito, A. Possenti, S. Dall’Osso, L. Stella, M. Pilia, A. Tiengo, A. Ridnaia, A.Y. Lien, D.D. Frederiks e F. Bernardini
Leggi l’articolo originale su MEDIA INAF.