Domenica 19 luglio 2020 la Sloan Digital Sky Survey ha pubblicato un’analisi completa della più grande mappa tridimensionale del cosmo mai realizzata, colmando le lacune più significative nella nostra comprensione della storia dell’universo, e riempendo il vuoto di 11 miliardi di anni tra la storia antica dell’espansione dell’universo e quella recente
Nella metropolitana di Londra, alla fine degli anni ’60, divenne celebre la frase “Mind the gap” (attenzione al vuoto) per avvertire i passeggeri dello spazio presente in alcune stazioni fra la banchina e le porte del treno. La stessa frase, fino a domenica scorsa, si sarebbe potuta usare guardando lontano nello spazio, o indietro nel tempo, visto che tra la storia recente e quella antica dell’universo sembrava esserci un vuoto di 11 miliardi di anni.
Il 19 luglio 2020, la Sloan Digital Sky Survey (Sdss) ha pubblicato un’analisi completa della più grande mappa tridimensionale del cosmo mai realizzata, colmando le lacune più significative nella nostra comprensione della storia dell’universo, e riempendo quei famosi 11 miliardi di anni.
La survey è stata una delle più riuscite e importanti nella storia dell’astronomia. È stata condotta usando sia l’Apache Point Observatory nel New Mexico – sede del telescopio originale da 2.5 metri della survey – sia l’Osservatorio Las Campanas in Cile, che utilizza il telescopio du Pont gestito dal Carnegie Institution for Science. La Sdss ha creato le mappe tridimensionali più dettagliate dell’universo mai realizzate, con profonde immagini multicolori di un terzo del cielo e spettri per oltre tre milioni di oggetti astronomici.
In particolare, i nuovi risultati che provengono dal Baryon Oscillation Spectroscopic Survey (eBoss), una collaborazione internazionale di oltre 100 astrofisici che lavora a una delle survey sui componenti dell’Sdss. Oggetto degli studi presentati sono le misurazioni dettagliate di oltre due milioni di galassie e quasar che coprono 11 miliardi di anni di tempo cosmico. In totale, sono stati resi pubblici i risultati di oltre 20 articoli scientifici che descrivono, in più di 500 pagine, le analisi del team sugli ultimi dati della eBoss.
Conosciamo l’aspetto dell’universo nella sua infanzia, grazie alle migliaia di scienziati di tutto il mondo che hanno misurato le abbondanze relative di elementi creati subito dopo il Big Bang e hanno studiato il fondo cosmico a microonde (Cmb, acronimo di Cosmic Microwave Background). Conosciamo anche la sua storia di espansione negli ultimi miliardi di anni, dalle mappe della galassia e dalle misurazioni della distanza, comprese quelle delle precedenti fasi dell’Sdss.
La mappa mostra anche che l’espansione dell’universo ha iniziato ad accelerare circa sei miliardi di anni fa e ha continuato a diventare sempre più veloce, da allora. Si ritiene che questa espansione accelerata sia dovuta alla misteriosa forza chiamata energia oscura. In particolare, la misurazione da parte del team eBoss dell’attuale velocità di espansione dell’universo – la Costante di Hubble – è inferiore di circa il 10 percento rispetto ad alcuni valori trovati dalle stime effettuate sulle galassie, vicine e lontane. L’elevata precisione dei dati di eBoss implica che è altamente improbabile che questa discrepanza sia dovuta al caso, e la ricca varietà dei dati di eBoss ci offre molteplici modi indipendenti per trarre la stessa conclusione. «Solo con mappe come la nostra puoi davvero dire con certezza che c’è una discrepanza nella costante di Hubble», afferma Eva-Maria Mueller dell’Università di Oxford, che ha guidato l’analisi per interpretare i risultati dell’intero campione Sdss. «Queste nuove mappe di eBoss lo mostrano in modo più chiaro che mai».
Attualmente non esiste una spiegazione ampiamente accettata per questa discrepanza nella velocità di espansione misurata, ma una prospettiva eccitante prevede che una forma sconosciuta di materia o energia risalente all’universo primordiale potrebbe aver lasciato una traccia nella nostra storia.
All’interno del team eBoss, i singoli gruppi nelle università di tutto il mondo si sono concentrati su diversi aspetti dell’analisi. Per creare la parte della mappa risalente a sei miliardi di anni fa, il team ha utilizzato grandi galassie rosse. Per regioni più distanti, hanno usato galassie blu più giovani. Infine, per mappare l’Universo undici miliardi di anni nel passato e oltre, hanno usato i quasar, che sono galassie estremamente luminose a causa della radiazione emessa dal materiale che cade su un buco nero supermassiccio, posto nel loro centro. Ognuno di questi campioni ha richiesto un’attenta analisi per rimuovere le possibile sorgenti di contaminazione e dedurre i modelli di universo.
«Combinando i dati della Sdss con dati aggiuntivi provenienti dal Cmb, dalle supernove e da altri programmi, possiamo misurare simultaneamente molte proprietà fondamentali dell’universo», afferma la Mueller. «I dati della Sdss coprono un intervallo così ampio di tempo cosmico che forniscono progressi maggiori di qualsiasi satellite per misurare la curvatura geometrica dell’universo, trovandolo piatto. Consentono inoltre di misurare la velocità di espansione locale con una precisione dell’uno per cento».
Come eredità per i progetti futuri, eBoss – e più in generale la Sdss – ci lascia con l’enigma dell’energia oscura e la discrepanza tra il tasso di espansione locale e quello dell’universo primordiale. Nel prossimo decennio, le future survey potrebbero risolvere tale enigma, o forse riveleranno ancora più sorprese.
Nel frattempo, con il continuo supporto della Fondazione Alfred P. Sloan e dei membri istituzionali, l’Sdss prosegue la sua missione di mappare l’universo. Karen Masters dell’Haverford College, portavoce dell’attuale fase della Sdss, conclude: «Il Sloan Foundation Telescope e il suo quasi gemello all’Osservatorio di Las Campanas continueranno a fare scoperte astronomiche che mappano milioni di stelle e buchi neri, mentre cambiano e si evolvono nel tempo cosmico». Attualmente il team della Sdss è impegnato a costruire l’hardware per iniziare una nuova fase, per fare le nuove scoperte del prossimo ventennio.
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Source: Riempito il vuoto di 11 miliardi di anni | MEDIA INAF